02 Marzo 2017
DALL’UNIONE EUROPEA A EUFRASIA
CONTESTI INTERNI E INTERNAZIONALI.
PROSPETTIVE DI SVILUPPO E LORO DIREZIONI.
Confini marittimi, politica estera e difesa comuni: cosa deciderà il Regno Unito del dopo Brexit? E soprattutto, cosa deciderà la Francia? – Uno sguardo al confine nord-atlantico e artico, alle problematiche sociali e migratorie interne, alla grave subalternità tecnologica e della difesa davanti al nuovo pericoloso impeto dell’egemonismo USA.
Il collasso geopolitico delle regioni che gravitano attorno al Mediterraneo, nel quadro che in precedenza abbiamo descritto in << L’Europa scodinzola? L’Europa annaspa? Perché non denuncia le responsabilità più dirette? >> ha superato i livelli di guardia e le condizioni d’instabilità possono essere definite sistemiche, visto che alcuni degli interlocutori privilegiati fra quanti dovrebbero concorrere a creare valide e salde premesse a pro di una nuova stabilità in realtà continuano a operare come forze che debordano ampiamente dagli accordi di massima raggiunti nei fori internazionali e mirano anzi a invalidare la loro attuazione e realizzazione . In particolare, visto che il legittimo governo della Siria continua a essere oggetto di una sanguinosa aggressione internazionale la cui strategia mira a perpetuare il generalizzato crollo politico di
SIRIA – L’incontenibile vocazione di esportare la pacifica ‘democrazia’ con guerre non dichiarate e con interposti e camuffati attori
Damasco e di Baghdad e a realizzare intese sul campo definibili a dir poco promiscue e perfino tenebrose.
PECC Maxim Atayant, I fori di Roma
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Se dal Vicino Oriente ci spostiamo lungo l’arco orientale-nordorientale, i conflitti circoscritti e i confronti sono molto più contenuti di intensità ma non di estensione e di implicazioni relative agli equilibri euroasiatici e di riflesso planetari, visto il diretto prolungamento delle palpabili tensioni lungo tutto l’arco subpolare e polare e nel fin nel cuore del continente asiatico. Le attuali preoccupazioni sono dettate da fondati gravi timori, timori che lasciano presagire ulteriori innalzamenti dei livelli delle sfide e possibili shock per la diplomazia della comprensione e del dialogo.
Diplomatici e personalità della cultura d’Egitto, Spagna, Regno Unito, Italia e altre Nazioni alla XXXVI Edizione del PECC
In particolare, in diretto riferimento a quanto presentato nella prima parte, è qui doveroso completare il quadro di definizione dei confini dell’arco centro e nord Atlantico e polare. Le definizioni delle piattaforme continentali fra USA e Unione Europea, con sviluppo verso Ovest a
Dorsale atlantica e limes euro-nordamericano: dall’Islanda alle Azzorre (foto)
partire dalle acque portoghesi delle Azzorre, e i confini artici della Groenlandia (Danimarca) con Canada e Stati Uniti vanno definiti entro il rigoroso quadro del Trattato ONU di Montego Bay. Questo riguarda pure, con pari modalità, le proiezioni marine nell’Oceano Artico dell’arco che va dalla Groenlandia settentrionale all’ulteriore sviluppo costituito dalla penisola scandinava (Norvegia, Svezia, Finlandia). Si ritiene che la penisola di Kola, quasi nella sua interezza, e le antistanti terre meridionali debbano tornare alla Finlandia. L’avvelenatissimo territorio in questione, vero cimitero nucleare sovietico (da portare a più veloce bonifica), porterà al superamento storico delle fondate rivendicazioni nazionali finlandesi contro l’annessione stalinista. Ciò perché tale obiettivo è inquadrato nella pacificazione definitiva dei Paesi Europei, processo di cui fa parte a piano titolo la Russia, quale partner e futuro componente dell’Unione e di Eufrasia.
Groenlandia, l’avamposto danese ad Occidente: irradiazioni rinacimentali e mitica terra verde nel magismo del brit John Dee
In merito alle presenze di basi ‘di ricerche’ al Polo Sud, e formalizzate rivendicazioni di diritti specifici odierni da parte, in particolare, di Paesi Europei come Regno Unito, Francia Germania, Italia, nel profilo dei contenziosi in pectore con i Paesi prospicenti (Argentina, Cile, Australia, Nuova Zelanda) e con USA, Russia, Giappone etc., ogni confronto non potrà che avvenite in ambito ONU, con la preliminare dichiarazione di tutela integrale della natura del continente antartico.
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Con il tornare ad acuirsi del problema degli sbarchi dei profughi e dei migranti in Italia, si riconferma l’assillo dell’Europa per il Mediterraneo inteso come frontiera aperta senza freno e controllo alcuno. In riferimento alla stabilizzazione della Libia, fattore cruciale per potere controllare, contenere, bloccare questi flussi migratori, il processo è ancora all’inizio e non si devono nutrire facili illusioni, anche per la perseverante azione debordante di sfrontate operazioni sottocoperta di avvoltoi europei e vicino orientali sia con ambizioni europeistiche sia con ambizioni di rinnovato panarabismo e panislamismo.
Non di meno, con l’avvicinarsi della data del referendum inglese sulla Brexit, ossia sulla paventata uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, si riconferma che l’UE sta vivendo questi mesi nella scomodissima posizione simile a quella di chi stesse imprigionato nel collo di una bottiglia. A dir poco.
Le crisi interne che stanno dilaniando l’Unione Europea sono da imputare non poco a questo quadro generale. Diciamo subito: non si tratta più di confronti polemici tipici delle crisi di crescita, ma di crisi oggettiva dovuta alla scarsa credibilità politica di molti partner, quali partner di meno anziano ingresso nel contesto comunitario (quindi quelli dell’Europa orientale); interlocutori in cui prevale un’irrazionale oltre che egoistica risposta davanti ai problemi migratori, sorti già da tempo ma repentinamente esplosi con l’arrivo di notevoli masse di profughi siriani. E dei partner scandinavi e anglosassoni.
In realtà, i governi e le opposizioni di questi Paesi hanno affrontato il problema nella più completa incapacità e perfino sconsideratezza politica e hanno dimostrato di essere privi degli strumenti culturali minimali atti a poterli guidare nella comprensione e nella valutazione del problema. Ad essi si aggiungono le variegate e spesso neonate opposizioni che nei Paesi di maggiore peso e anzianità si oppongono con non minore rozzezza e generalizzazione al problema rappresentato dai profughi e dai migranti per lavoro.
In riferimento ai migranti, essi non dimostrano di capire con quale grave miopia hanno agito i loro governi quantomeno nell’ultimo quindicennio, avendo dimostrato una completa sottovalutazione o non valutazione del problema, il quale ha subito una crescita esponenziale ininterrotta. Essi neppure si domandano di sapere chi, all’interno dei loro Paesi, ha favorito per anni la violazione delle leggi sull’immigrazione clandestina e la nascita di nuove norme totalmente permissive. In presenza di eventi incontrollabili e di così elevate proporzioni: ci si è accorti troppo tardi delle fumose e pericolose clausole dei trattati internazionali firmati che de facto abbattono il controllo delle frontiere. Una vera e propria sciagura, giacché anche il Paese e il sistema sociale più permissivi e più solidi economicamente non possono sottrarsi alla responsabilità di individuare delle soglie oltre le quali l’assetto socio-economico viene a subire dei contraccolpi che ricadono innanzitutto sulle fasce più deboli e meno abbienti della loro popolazione. Contraccolpi che producono perciò l’aggravamento del disagio e della povertà di strati della popolazione, e la nascita di movimenti reattivi a carattere xenofobo.
Su questo piano, non siamo a conoscenza dell’adozione di misure socioeconomiche interne da parte dei governi interessati, e in particolare dell’Italia, atte a recuperare risorse finanziarie in modo mirato dalle emorragie prodotte dalle spese parassitarie, dalla sclerosi funzionale burocratica e dai ceti pubblici abbienti politicamente protetti, per aiutare i ceti medi, le fasce deboli e il lancio di una politica grande demografica e di solidarietà sociale.
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In merito alle proposte di allocazione urgente di risorse finanziarie nei Paesi d’origine dei processi migratori, la posizione assunta di recente dall’Italia costituisce un valido ma difficile tentativo di rimetter la palla al centro del campo per affrontare davvero con razionalità e senza demagogia siffatta gravissima problematica. La Germania ha già condiviso l’obiettivo ma non il metodo: bisogna arrivare alla condivisione completa, a cui si dovranno quanto prima associare apertamente Francia e Regno Unito (nel caso di no alla Brexit).
È dunque da chiedere: cosa hanno fatto in questi ultimi due decenni i partner europei, soprattutto quelli con maggiore peso politico e in modo particolare quelli che hanno avuto imperi e possedimenti coloniali? È doveroso pure chiedere ai partner più recenti se e come intendono fare parte dell’Unione Europea: considerandola soltanto come fonte di lauti e interminabili finanziamenti a fondo perduto e senza partecipare alla concreta formazioni di una cultura e di una coscienza civile e politica europea? Soltanto rivolgendo appelli di aiuto e di amicizia agli Stati Uniti e diventando clienti ‘militari’ di Washinghton?
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Alcuni anni addietro, le maggiori Nazioni, con in testa gli US,A decisero di aiutare i popoli del Terzo e del Quarto mondo non più accreditando agli uffici dei loro governi le masse monetarie devolute (visto che lungo la filiera della distribuzione degli aiuti arrivava ai poveri, i reali percettori quali veri destinatari, era meno di un quarto del 20% delle somme versate), ma finanziando direttamente i progetti specifici validi da realizzare in loco.
Quale è stato il risultato effettivo raggiunto sul campo da questa valida scelta operata? E, soprattutto, i finanziamenti hanno avuto attuazione e raggiunto quali e quanti obiettivi? E le risorse globali assegnate a questi capitoli sono aumentate o hanno subito decrimenti? In che modo è altrimenti possibile creare istruzione, cultura, circoli virtuosi sociali e lavori produttivi e innovativi in queste regioni depresse e affamate, spesso sfruttate senza ritegno da un predone neo-neocapitalismo occidentale?
Le salveremo finanziando ancora un debito senza fine che di tanto in tanto viene in parte cancellato? Provocando ulteriori implosioni e profughi e movimenti migratori, anche in combinazione con fenomeni di guerriglie e di guerre eterodirette?
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Davanti a questi problemi, non bisogna agire da sconsiderati o farsi condizionare e trascinare da sconsiderati. Bisogna avere il coraggio di individuare le cause e, individuate le cause, additare con coerenza e determinazione anche quello che non piacerebbe avere scoperto e che non piacerebbe dire. Se non ci si libera da condizionamenti incommentabili e ‘incredibili a crederci e a dirsi’ e da ruoli di subalternità croniche supinamente accettati, non solo non si risolveranno i problemi, ma essi subiranno crescite ipertrofiche e direzioni non sempre prevedibili ed effettive.
Su tutto questo, basti pensare la pietosa scena che abbiamo visto durante il recente incontro di Obama con Cameron, Hollande, Merkel, Renzi in Europa e che abbiamo rivisto durante il G-7 in Giappone.
In verità, per quanto combattuta anche all’interno della Germania dagli esponenti di un populismo ottuso e inconcludente che si è manifestato pure all’interno della formazione di governo, Angela Merkel è l’unico leader europeo che ha dimostrato e dimostra di affrontare questo problema con la necessaria preparazione e serietà politica e con una saldezza di carattere e una previggenza, a raffronto con gli altri interlocutori diretti, ammirevoli. Non sta a noi dare pagelle, ma sta nel nostro diritto rilevare e indicare nei modi il più possibile obiettivi l’adeguatezza della dimensione decisionale del potere politico o meno.
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Dell’impreparazione e della sconsideratezza politica all’interno dell’Unione Europea si giova doppiamente la politica estera degli USA. Sia perché fra le cause da additare vi è in primissimo piano l’azione di pervertimento del quadro geopolitico realizzata dalle amministrazioni di Bush sen. e jr. e l’incapacità di Obama di affrancarsi dal consolidato potere degli strateghi neocon. Sia perché in tutti i Paesi dell’Unione chi guida la protesta lo fa in completa cecità, visto che non ha capito e non capisce quali enormi responsabilità ricadono su chi ha tessuto le trame a Washington, a Londra e a Parigi; o non ardisce dirlo. Sia perché questa cieca reazione facilita, e giova ancor di più, il perseguimento dei subdoli obiettivi che costoro hanno fino ad oggi realizzato. Autolesionismo inconcludente puro e semplice.
A proposito di autolesionismo: è bene ricordare che un’impennata autodistruttiva di non poco conto si ebbe e si ha e avrà ancora per anni con l’assurda decisione di diversi Paesi europei (Norvegia, Danimarca, Turchia e, come co-finanziatori, Regno Unito, Italia, Olanda) di adottare quale cacciabombardiere standard l’F35 statunitense. Fu ed è un micidiale colpo di maglio contro la ricerca tecnologica e l’industria aerospaziale e il lavoro europei, considerando per di più che essi a vario titolo avevano già investito o stavano investendo cifre colossali per progettare e produrre l’EFA Typhoon (Regno Unito, Germania, Italia, Spagna), il Rafale (Francia), il Gripen (Svezia). Il velivolo avrebbe dovuto essere adottato sì e no solo per le esigenze della portaerei leggera italiana, visto che per la nuova portaerei inglese si poteva realizzare la versione navale dell’Eurofighter o del Rafale. Regno Unito, Italia e Olanda hanno versato cifre di finanziamento cospicue per vedersi esclusi del core della tecnologia elettronica, che per gli europei rimane segretata. Sei Paesi i cui governi e stati maggiori hanno agito in modo scopertamente e ingiustificato contro gli interessi nazionali, sotto tutti gli aspetti.
Aspettare col senno del poi l’ ‘arrivo’ di politici con un poco di sale nella zucca? Potrà mai l’Europa andare avanti di questo passo, e addirittura rifondarsi per la destinazione d’EUFRASIA?
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