21 Aprile 2017
DIES ROMANA
DALL’UNIONE EUROPEA A EUFRASIA
CONTESTI INTERNI E INTERNAZIONALI.
PROSPETTIVE DI SVILUPPO E LORO DIREZIONI.
Confini marittimi, politica estera e difesa comuni: cosa deciderà il Regno Unito del dopo Brexit? E soprattutto, cosa deciderà la Francia? – Il pericoloso e incontenibile impeto dell’egemonismo USA e le sempre più gravide e spinose problematiche della subalternità tecnologica e della difesa europea, l’apparente nicchiare della Germania e le possibilità, forse flebili, dell’autonoma difesa nucleare europea. – L’inesistente coscienza dei ceti politici e culturali e delle popolazioni sui reali rischi di un’Europa incapace di autodifendersi. Tra force de frappe, frappé e TTPI: le zampate US e lo stupido menar per l’aia il can dal buon fiuto.
Lo scenario della mancata realizzazione di obiettivi comuni a pro della sicurezza europea e della nascita dei primi gradini di una sua reale sovranità è ricco di situazioni consimili, come già avvenne nel caso dell’uscita del Regno Unito dal programma europeo delle fregate (in realtà cacciatorpediniere di squadra, o, con un termine italiano, caccia conduttori), che seguì per proprio conto, lasciando andare avanti solo francesi e italiani. La Germania prese una sua strada; la Spagna continuò a dipendere dagli USA e poi si associò alla Germania. E così via.
Il problema oggi si ripropone a proposito dei velivoli da ricognizione non pilotati, UAV. Abbiamo un proliferare di progetti e di stagnazioni politiche. Il caso più rilevante è quello relativo al progetto MALE su cui si erano accordate le industrie di punta francesi, tedesche e italiane e che era stato ufficialmente fatto proprio dai governi, con il relativo protocollo firmato dai tre ministri della difesa. Esso rivestiva carattere d’urgenza. A tre anni, siamo fermi. L’industria USA continua a vendere anche in questo delicato settore i suoi mezzi e l’Europa continua a svolgere il ruolo di mero cliente, il che sul piano politico significa esprimere soltanto subalternità di fatto.
cacciabombardiere medio-pesante F35, VI generazione, ‘liberamente imposto’ dagli USA: ha massacrato l’industria europea, preparato il ruolo quasi esclusivo di ‘attacco’, compromesso la difesa aerea dei Paesi europei
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Lo sciovinismo, espressione di superbia e arroganza, non paga. A che servono la difesa a giro d’orizzonte con la force de frappe e lo strumento della deterrenza inglese (con mezzi americani ) totalmente scollegati e avulsi dalla realtà europea? Qui siamo oltre il ridicolo. Su questi aspetti e sulle possibili soluzioni, abbiamo formulato concrete ipotesi in altre comunicazioni.
Il caccia francese Rafale, corrispettivo dell’EFA, avrebbe potuto equipaggiare le due portaerei inglesi per il mancato sviluppo della variante navale dell’EFA. Londra ha preferito gli F38, con un capitale dell’8% e completa sudditanza ‘speciale’
Il più pericoloso condizionamento allo sviluppo della sovranità europea oggi tuttavia proviene dal massiccio pressing che finanza industria e politica USA esercitano sull’Europa al fine di arrivare alla firma del Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP). Esso ha trovato forti sponde in Europa, nell’ambito di precisi settori industriali, nutriti di egoistici interessi settoriali, cosa molto pericolosa. Non bastano le puntualizzazioni di Hollande.
Bisogna fare quadrato contro l’oligopolio dei trust speculativi, specie contro quelli che operano nel settore agricolo, dell’alimentazione e della salute. I loro interessi collidono con quelli degli Stati, dei lavoratori e delle libertà fondamentali dei cittadini. La sfera dei diritti sarebbe solo merce alla mercé di questi potentati, come già ampiamente insegnano gli avvenimenti più recenti un po’ ovunque, ad iniziare proprio dalla sudditanza a cui sono stati ridotti i cittadini americani. Ricordiamoci che tutto questo ha già comportato per l’Europa lo scontro passivamente subito con la Russia e la sua emarginazione. Uno scacco incredibile, foriero di negative ricadute economiche e lavorative, oltre che amicali e strategiche.
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L’eventuale uscita inglese dall’Unione Europea porterebbe il Regno Unito in un cul de sac, a dir poco. La politica interna sarebbe soggetta a contrasti insanabili, visto che una cospicua minoranza sarebbe sempre pro-europeista e la maggioranza degli scozzesi ha votato per la non separazione da Londra nell’ambito di un’irrinunciabile appartenenza all’Unione Europea. Le utopie maniacali del dorato isolazionismo sorrette da una cultura ideologica che si appoggia sull’esistenza dello spettro del Commonwealth e sulla splendida pentapoli oceanica costituita da Regno Unito – Canada – Australia – Nuova Zelanda – domini minori con tutela degli USA ha il fiato corto: una pusillanime entità al completo servizio degli interessi incontrastati dell’oligopolio e della strategia della Casa Bianca. Domestici al loro sevizio. Niente altro.
Cameron ha messo sotto la giusta luce le grandi perdite a cui andrebbero incontro gli inglesi con l’uscita dall’Unione Europea. Ciò pero non è cosa esauriente e segue un percorso sbagliato. Oramai per il Regno Unito si tratta di affermare con parole chiare se vole far parte del dato fondativo dell’Europa, che è quello culturale. Il patrimonio condiviso di idee, valori, storie e infine interessi economici che deve costituisce la salda e indiscussa base delle prospettive di un futuro quanto mai prossimo comune. Un futuro in cui si parla di generazioni europee e di Europa tout court. Un fallo non meno grave commesso da Cameron è stato quello di avere fatto plateali passi indietro in merito alle urgenti decisioni da assumere per venire incontro alla tragedia umanitaria dei profughi e dei migranti che si sta abbattendo sull’Europa mediterranea. Si è ritrovato in buona compagnia con la compagine dei Paesi del Baltico e dell’Europa orientale, purtroppo.
Boris Johnson, il distruttivo demagogo, il cui ruolo di guerrafondaio può essere accostato a quello di W. Churchill
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