05 Febbraio 2017
Gobekli-Tepe
Goddio-Thonis-Heracleion4
DALL’UNIONE EUROPEA A EUFRASIA
CONTESTI INTERNI E INTERNAZIONALI.
PROSPETTIVE DI SVILUPPO E LORO DIREZIONI.
Confini marittimi, politica estera e difesa comuni: cosa deciderà il Regno Unito del dopo Brexit? E soprattutto, cosa deciderà la Francia? Ecco le nuove sfide che l’UE ha da risolvere a breve. –
Allargamento meridionale e orientale. Affrancamento dalle sopravvivenze e dai ruderi coloniali.
Il Mediterraneo cuore di EUFRASIA.
Seconda parte
Questa memoria dice che questo arcipelago fu sottoposto a dura prova dai britannici e l’acme la si ebbe con la violenta e cieca imposizione del divieto d’insegnamento della madre lingua nelle scuole maltesi, nel 1933. Fatto che ad oggi non può che inibire in ogni foro internazionale ogni pretesa di legittimità e ogni giustificazione postcoloniale della perversa azione anglosassone in terra europea. A nulla servirebbe appellarsi al fatto che il Paese occupante al suo interno venisse governato da un sistema rappresentativo di tipo liberale (sistema di governo che non veniva applicato ai popoli assoggettati, ai popoli delle colonie).
Il modello liberale o democratico non rappresenta una condizione preternaturale atta a mondare dai libri di storia quanto è stato commesso dai governi pro tempore a danno degli altri popoli, se e quando non anche del proprio popolo.
Su tutto questo, la nuova Europa, salda sui suoi principi, deve alzare il sipario, con determinata coscienza storica, senza tema di aprire chissà quali falle verso posizioni populiste, scioviniste, e di produrre chissà quali frane interne. Essa può uscire semmai da questo processo di rivisitazione non purgato, che porta ad abbattere i tabù ancora oggi vigenti, più rinnovellata e più affratellata. E’ bene che si conoscano le colpe degli antenati di qualsiasi popolo europeo e non soltanto quelle di taluni.
In riferimento al caso specifico di Malta, siamo dunque in presenza di quanto oggi in ambito universale è ritenuto irricevibile tota ratio e … toto corde.
Malta, tarxien, spirali
Purtroppo neppure dopo gli anni ’60, a quanto ci è dato a sapere, i governi e i parlamenti del Regno Unito, pure entrando a fare parte della Comunità Europea prima e dell’Unione Europea dopo, hanno mai espresso pentimento, ravvedimento e scusa e neppure una silente, sgusciante revisione storica per una così oltraggiosa condotta politica divisiva e affatto non amicale. Anche oggi che, pure davanti alla Brexit, Regno Unito e Italia rimangono strettamente collegati da tante comunanze e collaborazioni difensive e industriali di primissimo piano e di altissima tecnologia. Nulla ancora di nuovo sotto il cielo di Albione.
Oggi, ironia della sorte dopo quanto abbiamo appena rappresentato, risultano più che infondate e sciocche le rivendicazioni dei governi maltesi, nati dal diktat britannico e poi immiserite per decenni dalle pericolose, strambe e fallimentari illusioni ingenerate dallo sciagurato e ormai defunto Dom Mintoff.
Cosa inverosimile: La Valletta vuole gestire le acque fin sotto la costa dei fratelli dirimpettai che vivono fra Capo Pachino e Agrigento.
Queste rivendicazioni pretendono, a danno della Madrepatria, la sovranità di molta più superficie marittima rispetto a quella che spetterebbe a questa entità statuale. Pare di non doverci credere.
E’ tempo che gli italiani di Malta di oggi apprendano la loro storia, cosa finora negata o negletta a iniziare di quanto i patrioti maltesi ebbero a subire nel corso della seconda guerra mondiale, con le deportazioni nell’Africa equatoriale o con l’impiccagione. E pongano termine a così colorite quisquilie contradaiole, comprendendo anche il significato che un domani un maltese potrà diventare presidente della repubblica italiana o ricoprire le massime cariche elettive o degli apparati pubblici.
E’ tempo altresì che prendano coscienza che buona parte dell’iniziale contemporaneo benessere a loro è giunto dagli aiuti di Roma, e poi quello successivo in grande misura, sempre grazie a Roma, dagli aiuti UE e dal turismo europeo così sopraggiunto.
Gli attuali governanti maltesi inoltre devono smettere, così come a est quelli di Cipro, e a nord da un lato quelli irlandesi e dall’altro quelli dei tre Paesi baltici, di pensare di svolgere il ruolo parassitario di piccole Svizzere e repubbliche delle banane all’interno dell’UE.
Quanto qui sosteniamo ha altresì come ulteriore obiettivo, oltre al superamento delle negative e ostruttive eredità postcoloniali o delle subite occupazioni (Paesi Baltici), la necessità di attuare l’esemplificazione e la razionalizzazione della struttura statuale, rappresentativa, organizzativa dell’Unione Europea di adesso. E a maggior ragione di quella allargata, e quindi della futura Eufrasia, smettendo di sprecare inutilmente risorse per conservare detriti corrosivi per la memoria dei popoli europei direttamente coinvolti, costretti a suo tempo a soggiacere.
Atteggiamento felicemente propositivo e fecondo sarebbe quello di vedere questi soggetti interessati proporre, con un aplomb inaspettato, di procedere in tali direzioni. Sarebbe espressione di una grande presa di coscienza storica e maturità civile europea, al di sopra dei forti condizionamenti dettati dai gretti e immediati interessi economici di natura improduttiva, familistica, clientelare. Sarebbe il definitivo affrancamento dalla vigente e imposta “realpolitik” dettata dalle potenze d’un tempo.
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Quanto rilevato in merito alle rivendicazioni di Malta, riguarda pure le rivendicazioni libiche che affondano nelle folli pretese di Gheddafi a proposito dell’infondatezza della linea-base della grande Sirte.
Inoltre e innanzitutto, al di là degli attuali rischi di disintegrazione libica a cui si è assolutamente contrari, è da puntualizzare che sul piano storico-statuale e diplomatico la Libia è un’entità geo-antropica portata a unità dall’Italia come sua colonia. L’Italia riunì e integrò i tre preesistenti governatorati ottomani in un unico territorio.
La Libia fu infine totalmente annessa al territorio nazionale italiano dal governo pro tempore e perciò definitivamente affrancata e liberata dallo status di colonia. Essa divenne parte integrante del territorio della Nazione italiana.
Inoltre, entro questa prospettiva, cioè nel possibile futuro recupero della legittima continuità storica statuale italiana (la cui interruzione fu imposta dalla sconfitta militare) e dunque oggi e in futuro europea, il popolo libico, quando potrà essere reso edotto e cosciente della possibilità di potersi appellare a tale antecedente, potrebbe richiedere l’unificazione all’Unione Europea allargata o futura Eufrasia sia in quanto italiano sia, altrimenti, come nuova nazione aderente in virtù della sua diretta ascendenza statuale.
Senza dilungarci più oltre, ciò non potrebbe non valere pure per la Tunisia, a cui è stata risparmiata dalla sua storia interna una violenta dittatura quale è stata quella di Gheddafi. Oggi, per di più, la Tunisia ha rifondato dal suo interno le istituzioni e rinnovato buona parte della classe politica.
Leptis Magna
La Tunisia purtroppo non poté godere mai dell’integrazione all’Italia in quanto un cinico gioco internazionale già decenni prima (gioco che aveva visto soprattutto protagonisti il cancelliere del Reich tedesco e il papa) aveva favorito il colpo di mano francese rispetto alle aspirazioni italiane. Sicché la Tunisia, sino all’indipendenza dalla Francia, rimase mera colonia e non fu mai sollevata dai governi francesi da questo status.
La Tunisia oggi è un partner privilegiato dell’Italia, oltre che dell’ex potenza coloniale, e dell’Unione Europea. Il suo posto in seno all’Unione Europea allargata è assolutamente scontato non solo per motivi geopolitici quanto innanzitutto per ininterrotti legami geo-storici e economici, nonostante le guerricciole dei suoi guardiacoste siano perdurate contro i motopesca italiani, spesso per ingiuste motivazioni.
Ulteriori considerazioni positive a favore dei processi negoziali d’inclusione non potranno nel tempo non coinvolgere l’Algeria e le altre nazioni rivierasche, come già avviene in particolare con la Turchia, nonostante la brutta frenata imposta dal regime dell’attuale presidente, e in misura minore con il Marocco.
Museo del Bardo, Nettuno
Siffatte linee di fondo, siffatti obiettivi sono del tutto diversi, irraffrontabili con quelli promossi dall’Unione Mediterranea di cui è stato propugnatore Sarkozy (più che pessimo presidente francese, autore di una politica d’interventismo militare quanto mai aggressiva, arbitraria e neo-neocolonialista, senza precedenti raffrontabili nella recente storia francese e euromediterranea, salvo quelli inglesi ).
Siffatte linee di fondo consentono in pari tempo di affermare una peculiarità di primaria importanza per un’Eufrasia inclusiva, atta a ridurre l’odierna fragilità dell’UE: la realizzazione di una vitale profondità geopolitica interna sia verso Sud sia verso Est.
In particolare, a Est: steppe e deserti oltre il Caspio e l’Aral non sono privi di termini. Per quanto si auspichi di volere vivere in un mondo il più possibile pacificato, tenere a lungo sguarnite queste in apparenza remote frontiere, desta ricordi non solo letterari; e a Mosca desta apprensioni poi non tanto velate.
Non una parentesi ma una puntualizzazione:
– In riferimento all’ambiente e alla salute, alla biosfera, gli europei, fatta salva una nostra carenza documentale, mentre si sono fatti doverosamente carico, in ambito Nato, della bonifica dei sottomarini nucleari russi abbandonati nei porti dell’estremo Nord russo e finlandese (rimasto assurdamente annesso alla Russia dopo la caduta dell’Unione Sovietica), non hanno purtroppo fatto minimamente nulla per contenere / rimediare a quanto è stato realizzato di scellerato dall’Unione Sovietica nell’Asia centrale.
Lo scempio presenta caratteri irreversibili?
La Russia di oggi (innanzitutto con il ridurre la canalizzazione delle acque dei fiumi immissari del grande lago d’Aral) e le repubbliche ex sovietiche direttamente interessate e coinvolte, Kazakistan e Uzbekistan, possono fare fronte con l’aiuto europeo a tale enorme disastro e avviare il recupero lacustre e ambientale? Possono fermare la desertificazione provocata dal prosciugamento di oltre 50.000 kmq delle acque di un così grande lago salato (il quarto del mondo, con un’estensione di 68.000 Kmq, due volte e mezzo la superficie della Sicilia) dalle cui rive sono scomparse molte città e molti centri abitati minori, tutte le attività di pesca e di navigazione? Se nel 2004 la superficie del lago d’Aral era di soli 17.160 km², la salinità quintuplicata e flora e fauna quasi totalmente scomparse o gravemente ammalate, oggi il lago quasi non esiste più.
Uno sconvolgimento di siffatte dimensioni e quelli ad esso collegati sono motivi di giusta preoccupazione per tutto l’arco euroafroasiatico orientale. Non possiamo non pensare che le conseguenze non ricadano e non ricadranno su di noi e che la catene caucasiche possa fermarle e nasconderle. Non possiamo non stupirci sul perché i media europei abbiano taciuto e tacciano ancora oggi, così come le organizzazioni naturalistiche e umanitarie. Perché non si avvia una grande campagna di sensibilizzazione internazionale?
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Le controversie sul tappeto, manifeste o silenti per condizioni politiche e storiche in modo vario necessitanti e perduranti, a cui abbiamo fatto cenno e quelle a cui non abbiamo fatto riferimento (ad. es.: Corsica) andrebbero superate propria sponte da parte della Nazione coinvolta che dovrebbe non solo moralmente ma politicamente porre termine al perdurare della nequizia e dimostrare di volere attuare una convinta opera di conversione e revisione della propria posizione politica, storica e culturale nel merito e non consegnare i contenuti all’oblio del silenzio: con ciò si firma un documento e ci si stringe la mano ma non ci si abbraccia.
O altrimenti, con minore entusiasmo ma con volontà pacificatrice sollecita, rivolgersi alla sede negoziale, dietro garanzia terza di autorità giuridica internazionale, tramite l’azzeramento della prassi a nostro modesto avviso definibile di ipoteca tutoria unilaterale (es.: Turchia verso Cipro est; essa può implicare la certezza di mettere in atto un esercizio effettivo di potenza e non più in pectore e del mostrar bandiera); e di ipoteca ostativa, intesa quale effettivo esercizio di potenza, anche laddove essa sia comprensiva di conclamata “radicazione” etnica o di concessione di finale emancipazione statuale, susseguente a trattati che hanno leso e ledono l’evoluzione e la compiutezza di un processo storico di unificazione politico-geografica del dato etnico-linguistico e storico (ad es. Corsica, Gibilterra, con diverse specificità; Malta).
I positivi esiti di tutto ciò andrebbero a diretto e immediato beneficio della robustezza dell’Unione, del suo ulteriore ampliamento e delle sue giovani generazioni, giacché i vantaggi conseguiti supererebbero la semplice somma e innescherebbero fattori moltiplicatori in termini di energie volitive e creatrici. In termini di pulsanti sentimenti d’integrazione, a “fattori acquisiti” rappresentati dal principio basilare della compiuta identità nazionale, principio da cui scaturisce la base alchemica della nuova identità sovranazionale.
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Purtroppo, il processo di realizzazione dell’odierna Unione Europea, in questa sua prima fase storica, ha dovuto trascinare con sé tutti questi ingombranti, imbarazzanti, spiazzanti detriti di un’eredità coloniale e post coloniale attuati nell’ambito della stessa dimensione geografica europea.
Carica negativa addizionale, teniamo a sottolinearlo ancora, è il fatto che ciò è avvenuto entro l’ulteriore contesto rappresentato dalla condotta politica di due Nazioni in particolare, dopo tanti decenni di pace e di alleanze, fra quelle vincitrici del secondo conflitto mondiale: Francia e Regno Unito. Esse non hanno mai rinunciato a liberare di propria iniziativa l’Europa, quindi i loro stessi popoli, da questo pesante fardello, storicamente e moralmente riprovevole e inaccettabile.
Nel contesto della nuova realtà europea, siamo in presenza dunque dell’anacronistico perdurare di posizioni neppure definibili sopravvivenze tardo imperialistiche quanto l’espressione di uno sciatto e degenerescente provincialismo (per di più, riteniamo, quasi esclusivamente espressione propria della tradizionale albagia delle cancellerie e forse della classe politica parlamentare; atteggiamento sicuramente non più proprio ai loro popoli, che quasi sconoscono questi fatti e problemi).
Sciovinismo postcoloniale e neo-neocolonialismo: espressioni atte a definire in modo acconcio le linee di condotta della politica estera di qualche Nazione europea, oggi? Sciovinismo postcoloniale e neo-neocolonialismo possono continuare a coniugarsi con un sistema democratico interno che però non coinvolga affatto metodi e fini da attuare in politica estera? E possono interagire in modo proficuo con gli ideali di effettiva integrazione euromediterranea?
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Le due potenze su nominiate sono state pure quelle che da sempre, sin dagli anni ’50, si sono opposte all’unificazione della difesa europea, quando perfino questo progetto era auspicato e favorito dagli USA.
Questo delirio di potenza e di grandeur è perdurato, sotto molteplici tranelli e agguati e camuffamenti “democratici”, sino ad oggi. Nonostante la batosta di Suez del 1956, quando la VI flotta USA fermò l’attacco anglo-franco-israeliano scatenato contro l’annessione di Suez da parte dell’Egitto di Nasser.
Se il Regno Unito, pure con l’escamotage del Brexit atto a salvaguardare i suoi privilegi, potrà continuare a rifiutare di risponde per non molto tempo ancora, il governo francese attuale e quello che fra non molto gli succederà non potranno postergare più oltre di dare la risposta definitiva. D’altronde, anche in assenza del Regno Unito, l’Unione Europea rimarrà una potenza economica mondiale formidabile, in grado di competere con USA e Cina.
Pure qui veniamo a esprimerci con la massima linearità e sincerità, giacché accomodamenti verbali e formali non possono più continuare a ovattare la doverosa esigenza di fare il punto della situazione su ulteriori, impellenti cose. In modo non differibile.
A nostro modesto parere, il governo e il parlamento francese dovranno assumere in modo definitivo una posizione chiara su come e cosa intendono per Unione Europea e solidarietà europea e sulla correlativa, centrale questione della realizzazione della politica estera e di difesa comune, totalmente integrata.
Senza una PSDC o PESC, con i determinanti apporti di Germania, Italia, Spagna, Benelux, Svezia, Polonia e degli altri partner minori l’UE rimarrà più che un’anatra azzoppata: potrà essere soggetta ai più imprevedibili condizionamenti e ricatti, perfino prolungati, visto che la “sovranità” dei governi dei singoli Paesi potrà essere allettata, foraggiata, corrotta, minacciata nei modi più velati e taciti, velleitari e pericolosi e non immaginabili e non prevedibili e non individuati in tempo utile dall’attività di contro intelligence.
L’Europa così intesa avrebbe porte finestre e postierle sempre aperte e accessibili a qualsiasi spregiudicato interlocutore e a qualsiasi potenziale nemico, a qualsiasi intrusione e incursione. Senza potere disporre l’attivazione di misure preventive, dissuasive, difensive unitarie, unificate, tempestive, efficienti e credibili.
L’Unione Europea di oggi e l’EUFRASIA di domani non sarebbero in grado di potere svolgere azioni di rilevante valore difensivo in ordine alla salvaguardia della sovranità.
Sarebbe un soccombere già alle prime battute.
A gloria delle grandeur e delle difese a giro d’orizzonte di due allucinati tardoni … sino a che la Russia non farà parte di questa grande realtà.
Ma i tempi del suo ingresso non prossimi, le trasformazioni epocali a livello planetario sono sempre più veloci e … gli accadimenti del fato potrebbero fare incappare in pericolose e irreversibili disavventure il cuore d’Eufrasia e quel che rimarrebbe del conato di una grande Europa.
E’ questo che vogliamo noi europei? E, fra di noi europei, è questo che vogliono i francesi e i loro governanti? E gi inglesi? L’appagamento di una grandeur nazionalistica fuori tempo e fuori misura? Gli inglesi che vogliono vendere la seconda portaerei appena costruita (su progetto francese) e che imbarcheranno sull’altra portaerei esclusivamente cacciabombardieri made in USA e non velivoli da superiorità aerea?
Il processo di unificazione e armonizzazione dell’organizzazione e dei sistemi di difesa determinerebbe invece una serie di fatti virtuosi a cascata: con stanziamenti globali inferiori al totale delle somme odierne, grazie all’abbattimento delle duplicazioni e pentuplicazioni e ventuplicazioni, si avrebbero maggiori risorse da destinare alla ricerca e agli investimenti, si avrebbero delle forze di difesa più armate, efficienti e dallo standard operativo più elevato. Non si verrebbe a dipendere dalla discrezionale elargizione dell’alleato americano in tema di informazioni e di ricognizioni strategiche. Alleato che senza interruzione ti controlla ovunque e dovunque e attua un’incessante azione di spionaggio industriale.
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In caso di definitivo rifiuto della Francia di far parte della politica estera e di difesa comune, essa, a nostro parere, non potrà essere componente del “core” UE. Ovvero, dovrà fare parte del cerchio più esterno dell’UE, visto che il pilastro PESC assumerà il ruolo principale a conferma e garanzia della solidità e solidarietà dei Paesi e dei popoli che compongono la grande Unione Europea.
Fra i cerchi concentrici, dunque, quello economico non potrà più essere il primo, giacché esso non “lega”, non vincola automaticamente alla difesa della comune sovranità e della sicurezza esterna europea in caso di minaccia aperta e di guerra.
Non soltanto il governo attuale e i futuri governi di Londra, dunque, ma anche quelli di Parigi devono prendere atto che le loro posizioni politiche di divaricazione rispetto al processo di unificazione europea hanno aperto e apriranno le porte a posizioni differenti e a precise dissonanze.
Ovvero, pur continuando a sussistere forti e stretti legami di alleanza in ambito NATO e bi-multilaterali con Regno Unito e Francia in materia di sicurezza e difesa (ma non più intraeuropei in senso esteso, visto che l’UEO ha cessato di esistere e le sue funzioni sono state assorbite in parte dall’UE; UEO ferocemente lottata sul piano concreto sempre da Francia e Regno Unito), l’Unione Europea certo non potrà rinviare i problemi irrisolti, ossia del superamento delle eredità negative rimaste aperte del secondo conflitto mondiale, dopo oltre settanta anni, e della decolonizzazione.
Ad esempio, i governi e i parlamenti di Londra e di Parigi devono sin d’ora essere consapevoli che l’Europa non potrà e non vorrà certo delegare a farsi rappresentare al Consiglio di Sicurezza ONU Francia e/o Regno Unito. Essi devono essere consapevoli pure che la loro stessa presenza nel consesso non sarà sicuramente condivisa dalla maggioranza dei componenti dell’assemblea dell’ONU.
Francia e Regno Unito, nella profonda trasformazione politica intervenuta in questi ultimi tre decenni e in base alla prospettive più sicure e meno congetturabili, non hanno e non avranno più i requisiti per potere sedere nel Consiglio di Sicurezza come componenti permanenti.
Ciò segnerà la fine definitiva dell’eredità colonialista e della seconda guerra mondiale. Il fatto che esse siano potenze nucleari è inincisivo. Oramai il club atomico mondiale è formato da numerosi attori e lo sesso Israele, per quanto sia una potenza nucleare ”fuori listino ufficiale”, detiene una potenza autonoma superiore a quella britannica, la quale non è altro che un mero epifenomeno di quella USA sin dagli anni ’60.
Inoltre, le politiche estere e di difesa di queste due Nazioni potrebbero assumere in un futuro prossimo o meno prossimo contorni e obiettivi non del tutto conciliabili con quelli dell’Unione Europea sia nel contesto euroafroasiatico inteso nel senso più ampio possibile sia su quello planetario. Non si lavora di fantasia, qui, ma di previdenza e di accortezza, non ultimo davanti alla sempre reiterato rapporto speciale – diventato perfino “molto speciale” – sussistente fra Londra e Washington.
L’uscita di Londra dall’UE rilancia inoltre la strategia della “pentapoli oceanica” (Londra, Ottawa, Camberra, Wellinghton, cioé Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda …più il residuo dei dominions) in cuori e menti dell’establishment anglosassone, ad onta dell’europeismo dichiarato di scozzesi e irlandesi del Nord di animo non “brit” e … di più del 46% della popolazione, ad iniziare dagli studenti e dai componenti dei ceti più attivi, dinamici, intraprendenti, produttivi.
E’ da tenere in conto, nel caso del non augurabile no francese, che i governi sia dell’una che dell’altra Nazione potrebbero essere tentati di tramare a danno dell’UE fomentando dissensi interni e allettamenti inverosimili (v. quanto è successo fra Ucraina e Russia a seguito delle “promesse” congiunte di USA e UK a Kev) e interferire in modo continuativo con la loro politica dell’UE.
Dovrà però rimanere punto aperto per l’Unione Europea e per la nuova Eufrasia che se i popoli e i governi futuri di Francia e del Regno Unito dovessero finalmente tornare a nuove, serene, miti e lungimiranti decisioni, loro e i loro popoli sarebbero accolti a braccia aperte nell’Europa della difesa comune. L’assenza di preclusione al rientro nell’UE concerne pure una futura diversa decisione del popolo britannico, del suo parlamento e del suo governo (a prescindere da quanto possa accadere nel frangente, come l’eventuale processo di indipendenza scozzese). L’Europa di oggi e l’Eufrasia di domani non intendono Brexit una decisione irreversibile, una decisione che ipoteca del tutto le prospettive e le decisioni UK.
L’Unione Europea dovrà dunque guidare la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e fare parte del consesso quale componente permanente. Non avrà motivo di esprimere contrarietà all’ingresso in esso di Giappone, India e Brasile.
La stragrande maggioranza delle nazioni non potrà che essere favorevole, al di là delle soluzioni prospettate e di quelle che poi verranno raggiunte in concreto.
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Come emerge da queste linee di fondo, nostro fermo convincimento e nostro auspicio di fondo sono rafforzare e accrescere l’Unione Europea e allo stesso tempo rifondarla dal di dentro senza dovere più soccombere alla supremazia finanziaria di banche non statali che controllano in qualità di proprietarie la BCE e razionalizzare la presenza delle Nazioni aderenti attraverso il superamento di quanto le potenze e i trattati lasciarono irrisolto o “risolsero” nei peggiori dei modi (o congelando precari e ingiusti statu quo). E attraverso una spontanea o favorita e aiutata coniugazione di piccoli popoli (lettoni, estoni, lituani) fra i quali prevalgono più somiglianze e prossimità che dissomiglianze a confronto con le culture degli altri popoli europei, arrivare a una esemplificazione non meramente procedurale e organizzativa ma di spirito.
Queste auspicabili svolte da imprimere alle storie recenti e meno recenti delle cancellerie europee verrebbero a dare un’eccezionale impulso alla piena fiducia reciproca e alla maggiore speditezza del processo d’integrazione e di unificazione delle Nazioni e dei popoli.
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Ritorniamo al conteso del diritto internazionale marittimo e oceanico. In base alle definizioni ONU e ai futuri sviluppi dell’Unione Europea – sviluppi che riteniamo indispensabili e linee di forza che riteniamo vitali -, dunque al di là dalle odierne crisi interne determinate soprattutto dall’aggressione corrosiva svolta da fattori di accentuata speculazione finanziaria e di centralizzazione monetaria non a carattere pubblico, e economici e infine politici, in prevalenza dovuti a dirompenti fattori esogeni ; in base a tali definizioni e sviluppi in fieri, i confini marittimi e oceanici delle Nazioni facenti parte dell’UE diventano – desideriamo dire: sono eo ipso – i confini dell’ Unione Europea.
Confini comprensivi della non meno vitale Zona Economica Esclusiva (aree marine e oceaniche però in cui la libertà di navigazione agli stranieri è assolutamente garantita): risorsa della biosfera, ambientale e geo-economica il cui significato è oggi sconosciuto ai più e pertanto è assolutamente inimmaginabile per la quasi totalità dei cittadini di tutti gli Stati europei.
Gli accordi amichevoli e più che amichevoli fra le diverse Nazioni mediterranee non potranno che risultare elementi di proficuo impulso e di grande sinergia per il processo di coesione e per quello di allargamento dell’Unione, in particolare nel Mediterraneo, cuore di Eufrasia.
A differenze delle “pendenze” che sussistono con i siciliani di Malta e con i libici italiani a loro insaputa, possiamo ritenere in linea di massima che gli accordi fra Italia e Tunisia e Italia e Algeria potranno rappresentare dei punti di riferimento positivi.
Ottimi esempi nel Mediterraneo, cuore di quanto noi appelliamo EUFRASIA – terre d’Europa, Africa, Asia – e vita stessa per l’Algeria, la Tunisia, l’Italia.
E proprio la sponda meridionale del Mediterraneo ad avviso del PECC sarà l’oggetto degli sforzi da indirizzare al recupero profondo dei rapporti politici, sociali, culturali e di inclusione dei due prossimi decenni. Sforzi altresì tesi a rompere, scardinare la precludente antitesi storica risultata dalla fine della seconda guerra mondiale e del colonialismo classico e espressa da un lato dalla chiave esclusivamente euroatlantica e dall’altro dall’arroccamento meramente pan “arabo” e pan “islamico”. Dualità diventata particolarmente accentuata, virulenta, esclusiva dopo l’implosione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia: dualità che in questi ultimi tre decenni circa ha sconvolto tutto il Vicino e Medio Oriente, parte del Nord Africa e l’Europa balcanica, caucasica e russo-ucraina. Ne basta e ne avanza. anche per la nuova svolta statunitense. Ulteriori motivi per non rimanere ancora assoggettati allle decisioni altrui e dare magnifico e grande impulso all’edificazione di EUFRASIA.
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Le recenti vicende relative al Trattato Transatlantico hanno dimostrato che l’Unione Europea, nonostante le molteplici polemiche e problematiche intestine e nonostante il repentino e inatteso avvio del Brexit, ha saputo fare fronte alle continue e molteplici pressioni dei giganti dell’economia USA e del potere politico del suo maggiore alleato e ha saputo non dare l’assenso alla conclusione positiva dell’accordo.
Una grande vittoria interna e internazionale che comprova come tutti insieme si possa fare fronte alle pressioni più incredibili. Non sappiamo cosa potrà mai concludere il Regno Unito da solo, con un accordo che possa essere realmente equo per gli interessi del popolo britannico non solo a beve a ma a lungo termine.
L’Unione Europea, conscia delle molteplici fragilità che ancora la caratterizzano, deve sapere procedere con sagacia e con perseveranza nel suo progetto di trasformazione e inclusione non ultimo per ridurre i contraccolpi che potranno essere prodotti in futuro dalle evidenti asimmetrie geopolitiche, che persisteranno ancora a lungo, con gli Statu Uniti. Asimmetrie geopolitiche non sottacibili che possono trovare concreta manifestazione di attrito e di confronto non sempre proficuo in base alla politica che sarà perseguita dal presidente americano di turno e dal ruolo che l’economia e la finanza US, particolarmente aggressive e spesso speculative, vorranno esercitare sull’UE a suo oggettivo detrimento.
Le pressioni, le compressioni demografiche esterne saranno altro elemento di persistenza negativa che caratterizzerà nel tempo i rapporti ufficiali e i confronti non palesi con le potenze continentali asiatiche, assieme alle sfide dell’espansionismo commerciale in un mercato libero in cui le regole sono blande, deboli e molto parziali al punto che è oggettivamente garantito che chi le vuole violare le viola impunemente. L’espansionismo militare, già in pieno svolgimento, obbliga a prospettare e prefigurare un quadro geopolitico inter oceanico estremamente complesso e delicato. L’Europa, Eufrasia, non potranno soggiacere all’attuale caos delle non regole del WTO e all’acquisizione arbitraria di spazi oceanici intesi come proiezione di potenza senza freni.
Non meno rilevanti sono i perduranti fermenti etnici e i non armonici confronti commerciali e gli accenti di espansionismo velato che possono essere già intesi come rischi potenziali del contesto euroasiatico e delle sue dirette ripercussioni su quello mediterraneo, oggi fortemente perturbato e in crisi; e le infiltrazioni non più soltanto commerciali in ampie regioni dell’Africa.
E’ questo il quadro generale, relativamente agli aspetti più qualificanti, entro cui si muoverà il processo di ulteriore aggregazione e integrazione panmediterraneo. Esso indica in modo estremamente chiaro l’esigenza di superare difficoltà e contrasti e di non deflettere, per la nascita di EUFRASIA, per la certezza di un sicuro futuro per le generazioni di questo grande ecumene erede delle più efficienti e grandi civiltà del passato.
Palmira, tetrapilo