18 Agosto 2016
BREXIT, UE e il mercato di libero scambio: l’Unione Europea nel mondo
Il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, avrebbe preferito che le discussioni sul Brexit iniziassero il prima possibile. Nonostante ciò, l’ex premier lussemburghese ha convenuto, alla fine, sulla necessità che il Regno Unito si prepari in modo adeguato prima di arrivare ad una posizione definita.
Allo stesso tempo, l’esponente politico ha assicurato che l’Ue non garantirà ai beni e servizi britannici l’accesso al mercato interno senza dazi qualora il Paese non accetti anche la corrispondente libertà di movimento dei lavoratori all’interno dell’area.
Infine, Juncker ha affermato di aspettare con impazienza il momento di un confronto con l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che ha paragonato gli obiettivi di unificare l’Unione europea a quelli di Adolf Hitler. Le audaci affermazioni erano state fatte durante la campagna per il referendum, prima della nomina di Johnson a ministro degli Esteri. “Avrà occasione di notare”, ha scherzato Juncker, “come le differenze tra me e Hitler non sono solo questione di sfumature”.
All’interno dell’Unione Europea il Regno Unito è stato il più grande sostenitore di un nuovo stile per gli accordi di libero scambio con un approccio che però tende piuttosto a conseguenze asimmetriche della globalizzazione. Conseguenze asimmetriche di tale portata in grado di contribuire maggiormente all’arricchimento dell’élite globale e determinare, allo stesso tempo, un ristagno socioeconomico, se non un’ulteriore compressione dei salari medi.
Ci si chiede, allora: la Commissione europea ha gli strumenti per garantire che la globalizzazione sia un gioco a somma positiva per tutti? Senza l’approccio britannico iper-liberista, potrà farlo con maggiori speranze di successo. Tuttavia, in particolare, l’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) con gli USA (TTIP), potrebbero essere bloccati senza che il Regno Unito stia ancora ad insistere per una sua approvazione.
In effetti, le negoziazioni dei due trattati sono state basate su trade-off e calcoli che prendevano in considerazione i consumatori e le imprese britanniche.
Un strategia verso il successo esista. All’interno dell’UE, un’adeguata risposta politica potrà essere realizzata attraverso una stretta collaborazione per allineare le posizioni dei governi e ottenere una “uscita controllata” del Regno Unito da parte dell’UE. Fino ad oggi, i Paesi UE sono sempre riusciti a beneficiare dei periodi di stress per consolidare le loro istituzioni.
Crescita economica, competitività e posti di lavoro: fattori e obiettivi che non è oramai impossibile farli coesistere. Siamo convinti che Brexit non potrà metterli in gioco.
Perchè?
Le economie aperte tendono a svilupparsi più rapidamente delle economie chiuse. Il commercio stimola la crescita dell’UE, incoraggia la nostra efficacia e il nostro spirito innovativo, dinamizza la domanda estera dei nostri beni e servizi. Un commercio aperto consente inoltre ai consumatori dell’UE di accedere ad una più vasta gamma di prodotti a prezzi più convenienti. L’apertura dell’Europa agli investimenti esteri diretti (IED) rafforza la nostra competitività. Inoltre, la capacità delle nostre imprese di investire all’estero consente loro di acquisire una dimensione mondiale e di creare posti di lavoro sia a livello locale che all’estero.
La Commissione vigilerà in particolare nel difendere gli interessi europei e i posti di lavoro europei. Combatterà le prassi commerciali sleali con strumenti adeguati. Siamo quindi in una posizione di non subalternità rispetto alla pur espansiva economia statunitense, che offre e soffre di accentuati periodi di discontinuità dovuti pure all’aggressività o “dinamicità” dei suoi programmi fortemente speculativi e ai repentini e ripetuti riflessi socio-economici interni che la popolazione viene a soffrire.
La nostra economia è la più grande del mondo. Essa inoltre è anche il maggiore esportatore. Le nostre imprese hanno esportato 1,6 miliardi di euro di beni e servizi nel 2009, vale a dire circa il 13 % del nostro PIL.
L’UE è anche il più importante fornitore e beneficiario di IED. È opinione comune che l’integrazione dell’UE nell’economia mondiale mediante un rafforzamento del commercio generi posti di lavoro più numerosi e meglio retribuiti. Più di 36 milioni di posti di lavoro in Europa dipendono, direttamente o indirettamente, dalla nostra capacità di commerciare con il resto del mondo. Più di 4,6 milioni di persone nell’UE lavorano per imprese a partecipazione maggioritaria giapponese e americana.
Già nel 2015 il 90 % della crescita mondiale è stato generato fuori dell’Europa, un terzo del quale solo dalla Cina. Inoltre, nei prossimi anni, avremo bisogno di cogliere l’opportunità offerta dagli elevati livelli di crescita all’estero, in particolare nell’Asia orientale e meridionale.
In una qualsiasi seria analisi economica e politico-economica, alla luce delle odierne dinamiche e delle più credibili proiezioni, è da considerare che i Paesi in via di sviluppo e i Paesi emergenti rappresenteranno probabilmente quasi il 60 % del PIL mondiale nel 2030, mentre oggi rappresentano meno del 50 %. Il ruolo e i contenuti afferenti al G20 illuminano e indirizzano le proiezioni in questa direzione.
Pertanto, ciò che può fare la differenza per la crescita economica dell’Unione Europea, non sono solo gli effetti del Brexti ma anche e ancor più il raggiungimento di importanti obiettivi nel mercato mondiale, quali: l’accesso al mercato per i servizi e gli investimenti, l’apertura degli appalti pubblici, migliori accordi e una maggiore protezione dei diritti di proprietà intellettuale, la costante fornitura di materie prime e di energia, nonché, il superamento delle barriere regolamentari anche attraverso la promozione di standard internazionali.
Queste le ragioni per cui al vertice delle priorità della strategia della Commissione Europea vi è come preoccupazione fondamentale il successo dei negoziati per gli accordi di libero scambio bilaterali e multilaterali.
Se riusciremo a concludere tutti i negoziati in corso in condizioni di non subalternità e a compiere importanti nuovi progressi nei nostri rapporti con i partner strategici, otterremo entro il 2020 in Europa un livello di PIL più dell’1 % superiore a quanto sarebbe altrimenti. I vantaggi che il consumatore medio europeo ricaverà da una maggiore varietà di beni e servizi sono dell’ordine di 600 euro l’anno, cui è opportuno aggiungere i vantaggi derivati dalla diminuzione dei prezzi.
La Commissione Europea ad oggi ha già ottenuto ambiziosi risultati, quali ad esempio:
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Conclusione dei negoziati per un accordo di libero scambio dell’Unione Europea con il Vietnam. Il testo è stato pubblicato il 1 febbraio 2016 e la revisione giuridica del testo è ormai iniziata e sarà seguita da traduzione nelle lingue ufficiali dell’UE e vietnamita. La Commissione presenterà una proposta al Consiglio dei Ministri per l’approvazione del contratto e la ratifica da parte del Parlamento europeo. L’accordo conterrà un link giuridicamente vincolante: l’accordo di partenariato e cooperazione (APC) che governa le relazioni generali tra l’UE e il Vietnam. Il Vietnam ha vissuto una trasformazione economica e sociale radicale nel corso degli ultimi due decenni accompagnata da una crescente integrazione nell’economia globale e rappresenta un importante mercato per le imprese dell’UE;
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Dal 1 ° gennaio 2016, l’UE e l’Ucraina hanno applicato in via provvisoria un accordo globale e di libero scambio completo e approfondito (ALSCA). Questo accordo significa che entrambe le parti apriranno reciprocamente i loro mercati di beni e servizi in base alle regole del commercio prevedibili e applicabili. Tale accordo fa parte del più ampio accordo di associazione la cui politica e le disposizioni di cooperazione sono stati applicati in via provvisoria dal novembre del 2014;
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L’UE e Singapore hanno completato i negoziati per un accordo di libero scambio il 17 ottobre 2014. Gli scambi di beni tra i due Paesi è cresciuto del 17% tra il 2008 e il 2014, mentre gli scambi di servizi è cresciuto ancora più velocemente, circa il 40 % tra il 2008 e il 2013. Singapore è una delle principali destinazioni per gli investimenti europei in Asia, così come il secondo più grande investitore dell’Asia in Europa (dopo il Giappone). Nel 2013, lo stock esistente di investimenti diretti esteri bilaterali tra l’UE e Singapore è stato di circa 140 miliardi di euro. Per molti esportatori dell’UE, Singapore è la porta d’ingresso in un mercato in crescita dinamica che concerne circa 600 milioni di consumatori;
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Nel 2013 sono stati avviati i colloqui per un accordo di libero scambio con il Giappone, secondo partner commerciale dell’Ue in Asia dopo la Cina. Tale accordo dovrebbe far crescere l’economia europea dello 0,8% in termini di pil. Alcuni analisti confrontano questo dato con la stima dello 0,5% di aumento del pil che genererebbe il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP);
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Con successo sono stati conclusi gli accordi con CANADA (CETA), Corea, Peru, Colombia e America Centrale;
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Sono stati riaperti i negoziati con il Mercosur e avviati i negoziati per un accordo bilaterale di investimento con la Cina;
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Dopo quasi sei anni, i ministri del Commercio dei 12 Paesi della Trans-Pacific Partnership (TPP) hanno firmato inizio 2016 ufficialmente l’ambizioso patto multilaterale di libero scambio del Pacifico. I paesi firmatari rappresentano il 40% dell’economia globale, tra questi: Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Cile, Perù, Singapore, Malesia, Vietnam e Brunei. La TPP stabilisce nuovi e alti standard per il commercio e gli investimenti in una delle regioni più dinamiche e in rapida crescita del mondo eliminando migliaia di tasse e oneri per l’import-export. Inoltre, l’intesa sancisce un forte legame economico tra la prima e la terza economia mondiale – gli Usa e il Giappone – rappresentando una tappa fondamentale del “rebalancing” verso l’Asia della politica americana.
Questi sono solo alcuni degli accordi commerciali che vanno al di là dell’aspetto tariffario, la cui importanza è diminuita, e offre numerosi vantaggi:
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circa la metà del commercio estero dell’UE sarà coperto da accordi di libero scambio;
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la tariffa media per le esportazioni europee diminuirà di circa la metà (a circa l’1,7 %) e la tariffa media di importazione nell’UE di circa un quinto (all’1,3 %);
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nel loro insieme, gli accordi di libero scambio, dovrebbero giungere, in quanto parte del futuro contributo della politica commerciale alla crescita, sino allo 0,5 % al PIL dell’UE nel lungo periodo
Anche il Consiglio europeo ha identificato come obiettivo fondamentale lo sviluppo del commercio con i partner strategici dell’UE, invitando a compiere passi concreti per “garantire la conclusione di accordi di libero scambio ambiziosi, garantire un più ampio accesso al mercato per le imprese europee e approfondire la cooperazione regolamentare con i principali partner commerciali“. Ha ricordato, inoltre, che tali partnership devono essere
“percorsi a doppio senso basati sui reciproci interessi e vantaggi e sul riconoscimento che tutti i protagonisti hanno diritti e doveri”.
A Londra, il nuovo governo di Theresa May si trova già all’opera per fare ciò che l’Unione Europea ha fatto in parte e vuole continuare a fare: concludere accordi di libero scambio a dazi zero, su prodotti e investimenti. Liam Fox, ministro del Commercio Internazionale britannico, che da giorni tesse la tela con i governi di Australia e Canada, ha grandi piani in testa: Londra ambisce a diventare una sorta di free trade zone nel vecchio continente a beneficio, ovviamente, delle proprie aziende. Nessun isolazionismo, nessuna autarchia. Al contrario il governo inglese vuole ritornare ad essere protagonista del commercio internazionale. Però: vedremo se ciò accadrà e fino a che punto ciò si armonizzerà con gli interessi europei.
L’Europa è già protagonista del mercato mondiale e la Commissione Europea continua i negoziati con i protagonisti del mercato globale con l’ambizione di raggiungere gli obiettivi fissati dalla nuova strategia della Comunicazione 2015 “Commercio per tutti”. Tuttavia, essenziale e determinante è la collaborazione dei governi nazionali dei 27 Paesi Europei.
*L’avv. Flavia Silvestroni, autrice dell’articolo, ha svolto e volge attività di “legal officer” presso la direzione del commercio estero della Commissione Europea a Bruxelles. La sua esperienza di studio e di ricerca in particolare riguarda gli accordi dell’OMC e negoziati internazionali (inclusi accordi bilaterali di investimento). Nell’ambito delle attività di volontariato svolte, è rappresentante della Segreteria generale del Premo Europeo Capo Circeo (Roma) presso la città di Bruxelles.