10 Giugno 2015
Sovranità europea – European sovereignty
EUROPA. ORA COME NON MAI C’E’ BISOGNO D’EUROPA
Le molteplici crisi che attraversa l’Unione Europea non sono crisi di rigetto né sono irreversibili. Sono semmai crisi dovute a più cause. Cause che in questi anni si sono intrecciate e perfino negativamente annodate in modi imprevedibili e inusitati. Vediamo di elencare queste concomitanti crisi in una sintetica rassegna.
– Vi è quella dovuta alla sua troppo veloce crescita avvenuta a partire dagli inizi del nuovo secolo, con il repentino allargamento ad est per di più davanti a un molto contenuto processo di reciproca assimilazione attuato fino ad allora fra i partner esistenti all’interno dell’UE;
– vi è quella dovuta all’eccessiva centralità imposta al fattore monetario e finanziario, peraltro in parte comprensibile davanti alla molteplicità di Stati con monete e con condizioni finanziarie e economiche completamente diverse, sino al periodo pre-crisi finanziaria ed economica (a partire dal 2008), specie in riferimento a quelli ad elevatissimo tasso di indebitamento pubblico (fra cui Italia, Belgio, Grecia) ;
– vi è quella dovuta alle due onde lunghe delle dirompenti crisi speculative sopraggiunte dagli Stati Uniti (e, in parte, da un territorio nostrano, quello inglese), con effetti catastrofici qui in Europa di ancor più lunga durata e ampiezza. I contrasti che essa ha scatenato in profondità all’interno dell’Unione Europea sono esplosi in modo terribile e finora non vi è stata alcuna valida possibilità di dirimerli;
– vi è quella dovuta alle decisioni assunte dai capi di Stati e di governo e dalla commissione dell’UE, non tanto perché draconiane quanto perché declinate e indirizzate in modo distorsivo, quindi atte a scatenare in maniera inevitabile deplorevoli effetti di media e di lunga durata di depressione e depauperamento. Cioè atti a produrre, come in effetti è avvenuto, non tanto il blocco delle spese pubbliche parassitarie e la mera stagnazione del ciclo produttivo e della forza occupazionale nei Paesi più deboli così sottoposti a forza a una cura suicida, quanto marcati arretramenti produttivi e del pil dovuti alla paralisi degli investimenti decretati con la politica del “rigore” cieco e assoluto. Questa decisione ha infatti bloccato ogni possibile effetto virtuoso producibile con investimenti a più che certo tasso di ricaduta, in particolare nell’innovazione e nell’ammodernamento delle grandi opere infrastrutturali.
A questi fattori si sono aggiunti quelli che in origine erano potuti sembrare estrinseci e temporanei, generati da un sempre più veloce e accentuato e preoccupante quadro generale. Infatti, la degenerazione delle relazioni internazionali lungo tutto l’arco dei confini UE che da sud-est (Vicino e Medio Oriente) si è esteso a tutto il sud, e quindi all’area mediterranea e transahariana, e a tutto il nord-est, e quindi a tutta l’area euroasiatica, con attuali epicentri lungo tutta la regione confinaria russo-ucraina (che indirettamente viene ad estendere l’area della preesistente instabilità politica, etnica e in parte religiosa, quella caucasica).
In tutto questo, la reimpostazione delle priorità della linea di condotta strategica degli USA e della NATO (che purtroppo si sta dimostrando per colpa delle Nazioni europee quasi un peso morto nelle mani dell’esclusivo decisionismo statunitense), ha via via giocato un ruolo non secondario. L’avere ridisegnato in fretta e furia un quadro d’azione venuto a più miti consigli nei confronti dell’Iran e immotivatamente diventato espansivo e aggressivo e perfino ricattatorio nell’est euroasiatico e non di meno le fortissime pressioni esercitate con un pressing inaudito dalla casa Bianca nei confronti dei partner dell’Unione Europea per concludere un trattato economico transatlantico sbilanciato, danno le condizioni oggettive per cogliere il vero termometro della situazione. Oltre i simulacri delle apparenze, comprese quelle dei vertici dei G7 e della NATO.
Questa condotta statunitense, alla luce della prospettiva che ci viene offerta dagli avvenimenti di questi ultimi sette anni e di quelli già nel calendario internazionale, si palesa destabilizzante sotto tutti gli aspetti. Il suo fine prioritario non è conseguire un appeasement, bensì tutto l’opposto: accentuare la crisi politica con la Russia e di conserva accrescere le misure di ritorsione economica con sanzioni inconcludenti e dannose che colpiscono in maniera asimmetrica soprattutto gli europei, oltre che i russi. Sarà superfluo ricordare che esse hanno colpito anche settori del mondo produttivo americano, certamente considerati come il giusto prezzo da pagare all’aggressivo mordente dei neo-con e degli apparati del potere economico finanziario di cui essi sono ad ogni buon conto espressione?
Per l’attuale politica americana, destabilizzare significa mettere in rete più goal atti a condizionare le prospettive euro-asiatiche e l’evoluzione degli scenari internazionali sotto la guida, sempre più massiva e sempre più occulta per quanto attiene molti lati operativi, degli Stati Uniti. E’ superfluo in questa sede mettere in rilievo il grande azzardo che si cela in questi giochi quanto anche i rischi di ancor più accentuata destabilizzazione che essi sono in grado di provocare, pure con nuove e più repentine irruzioni.
E’ compito dei maggiori Paesi europei, delle cancellerie tutte e del parlamento europeo prendere coscienza di questa grave deriva in atto, così come sta accadendo negli USA, dove perfino il primo artefice della prima edizione di reimpostazione strategica USA degli anni ’70, l’ormai anziano ma ancor granitico Henry Kissinger ancorché sempre poco sincero amico dell’Europa, ritiene che questa conduzione politica presenta aspetti davvero avventuristici, se correttamente abbiamo compreso le sue parole.
E’ stato facile “esportare la democrazia” sull’onda di ciclopiche, planetarie campagne pubblicitarie da parte dello Sato delle libertà individuali per antonomasia. E’ stato facile perché la macchina “informativa” ha smerciato documenti assolutamente falsi impunemente prodotti dai governi degli Stati Uniti e del Regno Unito. Libertà e democrazia e attività di aggressione armata e invasione e imposizione dei propri interessi economici vediamo come abbiano costituito e costituiscano ancora un intoccabile, guasto ginepraio che consente a chi lo utilizza di esercitare condizioni di egemonia a caro, a carissimo prezzo per gli altri Stati e per i popoli, compreso quello statunitense, che nella sua gran parte poco o nulla ha beneficiato di quanto l’oligopolio nazionale ha fatto eseguire alle cariche pubbliche ufficiali.
Davanti a un così inaspettato quanto deprimente e corrivo presente politico e economico, oggi abbiamo più che mai bisogno di Europa, per noi stessi e per fare germogliare una stagione di reale, maggiore corresponsabilità nella condotta internazionale improntata e indirizzata al raggiungimento di un equilibrio geopolitico e economico generale meno fragile e al rispetto dei diritti e delle esigenze degli altri popoli.
Europa dei popoli, Europa dei produttori e dei lavoratori, Europa di una burocrazia sovranazionale efficiente, snella, svincolata dalla soffocante tutela delle egemonie dei grandi e dalle ipoteche degli attuali trattati e dei piccoli governi. Un’Europa in grado di offrire alle giovani generazione e alle prossime solo il meglio delle tradizioni nazionali e le più formidabili condizioni di sviluppo culturale e civile, di incessante stimolo alla curiosità e alla ricerca del conoscere, di più concreta e meno demagogica fruizione delle libertà e delle loro garanzie, in uno con il rispetto dei doveri.
Un’Europa in grado di realizzare il salto dal monodimensionale “uomo economico” liberista o marxista all’uomo di una grande Rinascenza. Una Rinascenza dello spirito europeo in cui egli non viva in funzione della produzione e della ricchezza, bensì in cui esse siano feconda espressione e utilizzazione a pro delle altre fondamentali peculiarità della natura umana; insieme alla non demagogica e parassitaria realizzazione del principio di solidarietà, espressione viva delle libertà individuali nell’uguaglianza formale attraverso la poliedricità creativa delle differenze.
Di questa Europa, laica e rispettosa della pluralità delle fedi e soprattutto del diritto individuale di pensare e decidere in quali meta-valori individuali identificarsi, non possono non fare parte ad est ucraini, russi e turchi.
E’ giunto il momento per le cancellerie europee, oltre l’uso degli specchietti per le allodole per mere strumentalità politiche dell’oggi, prenderne atto e sapere coagulare e porre in essere un’adeguata e netta presa di distanza dagli “svarioni” e dagli sbandamenti degli “interessi” americani nel mondo. Tutto questo non potrà che determinare, anche attraverso un temporaneo ma lapalissiano contrasto, un sicuro benefico di ritorno per gli stessi Stati Uniti.
Per gli europei, dunque, in primi, vi sono: – l’esigenza di dovere porre termine alle sanzioni contro la Russia; – di annullare ogni allargamento ulteriore della NATO non solo ad est ma in ogni direzione; – di ridare immediato impulso al partenariato NATO – Russia; – di affermare la non sovrapposizione fra UE e NATO in Europa e nell’Eurasia; – di perseguire la pacificazione tra Russia e Ucraina attraverso l’armonizzazione de più ampio contesto sopra delineato, entro cui è collocata la crisi ra popoli fratelli.
Il Premio Europeo Capo Circeo ha questi ulteriori e importanti obiettivi da perseguire, convinto di potere a buona ragione persuadere cittadini, governi e parlamenti. E, innanzitutto, convinto di potere riscontrare condivisione nelle Personalità a cui è stato attribuito e a cui verrà attribuito il riconoscimento; Personalità che potranno rafforzare e amplificare a 360° il raggiungimento di questo obiettivi e di queste speranze di maggiore unità europea in un mondo meno conflittuale. Maggiore unità europea, prospettiva valida e unica possibile per le giovani generazioni e per l’ininterrotto sviluppo della plurimillenaria civiltà che costituisce il loro comune retaggio e il loro comune sentire. Unico grande ideale palpitante.