12 Settembre 2017
IL RILANCIO E LA RIFONDAZIONE DELL’UE PER APPRODARE AI LIDI DI EUFRASIA
EUROPA: SI DEI POPOLI.
I PROBLEMI SONO LE CLASSI POLITICHE NAZIONALI, SPESSO INADEGUATE
Gli ultimi mesi hanno confermato ripetute volte, nel contesto europeo, che il processo di maggiore integrazione politica e quindi sociale, culturale e soprattutto economica dell’Unione costituisce la valida direzione, il verso irreversibile verso cui si muove il futuro dei popoli del vecchio continente.
Senza entrare nel merito delle strategie e dei programmi politici dei più diversi partiti che si sono sfidati in particolare in Olanda, Francia e Germania (anche perché ciò rimane al di fuori dalle finalità che il PECC promuove, nel rispetto delle dialettiche, delle scelte e delle fluttuazioni che possono costituire e che costituiscono o che accompagnano l’espressione più tangibile delle volontà dei corpi elettorali), la tendenza europeista è emersa in maniera incontrastata.
In questo preliminare contesto, il PECC ricorda e sottolinea che porta avanti un progetto in cui il dato dell’inclusione costituisce un fattore e un catalizzatore primario. Amici e personalità delle più diverse estrazioni hanno costituito, costituiscono e continueranno a costituire questa ispirazione e questa via di realizzazione. Non escludere ma includere, anche perché la più semplice ricognizione della storia del XX secolo e di quasi il primo quinto del muovo porta a muovere osservazioni senza fine sulle devastazioni e sui fallimenti ideologici e politici avvenuti nell’agone europeo.
Noi possiamo dire soltanto che vogliamo affermare questi principi ispiratori, realizzare questa EUFRASIA, ma che saranno i nostri figli e i nostri nipoti a darle, a dovere darle una specifica identità in termini di indirizzi ideologici. Questo è quello che possiamo e dobbiamo fare, non oltre. A loro il diritto di scelta sull’individuazione più prossima dei contenuti e della definitiva identità, che speriamo che possa andare per vie molto al di sopra di quelle che costituiscono in buona misura i fallimenti dei governi e dei popoli europei di tutto il ‘900.
Al di fuori dal “Capo Circeo”, ciascuno di noi ha da potere essere presente e attivo, militare nelle più diverse altre associazioni etc. che promuovono ideali e finalità culturali, ideologiche, politiche non in conflitto con questi principi basilari.
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Il tonfo degli antieuropeisti di varia estrazione, spesso individuati sotto il comune denominatore di populisti, è stato clamoroso, perfino inaspettato per le proporzioni assunte.
L’altro aspetto di maggiore rilievo è stato rappresentato dall’analisi del risultato elettorale francese. La gioventù francese si è espressa in misura determinante in favore del processo unitario. I velleitarismi sciovinistici sono stati ampiamente e clamorosamente sconfessati.
Duole constatare purtroppo come il protagonista del grande successo elettorale e della radicale trasformazione della geografia parlamentare e politica francese di tutta la storia contemporanea abbia invece utilizzato subito dopo in maniera scopertamente sciovinista questo clamoroso, storico successo. Cosa che ha fatto contraddicendo in modo plateale il significato stesso della vittoria da lui conseguita, appellandosi esclusivamente al rilancio della politica degli interessi comuni dei popoli e degli Stati europei, dell’ulteriore processo di integrazione europea. Egli aveva chiuso la sua campagna elettorale addirittura al suono e al canto dell’ Inno europeo, l’Inno alla gioia di Schiller e van Beethoven. Nessuno prima, specie in terra di Francia, lo aveva mai fatto.
Una vera doccia gelata per l’elettorato europeista francese, ad iniziare proprio dai giovani, i quali, col la forza di un’incontenibile valanga, hanno seppellito la precedente geografia parlamentare, ivi inclusi i partiti europeisti.
C’è da augurarsi che il nuovo presidente francese voglia correggere l’erronea e pericolosa linea intrapresa e non ripetere gli impennamenti e le manovre scioviniste, che hanno già fomentato sospetti più o meno fondati a proposito di proposte o di continuazioni di duopoli con piccolo contorno all’interno dell’UE (Francia e Germania), di un parallelo duopolio aeronautico (Francia e Germania) e marittimo all’esterno (Francia e Regno Unito), infine cantieristico e molto nebuloso (Francia e Italia) con tentativi di imposizioni nel delicato contesto delle grandi imprese industriali (Fincantieri e Stx).
Da questo quadro, risulta ancora più robusto il ruolo assunto da Angela Merkel quale indiscusso leader tedesco e europeo. Le qualità politiche della Merkel, che replica quelle di Khol del quale fu purtroppo figura decisiva per la fine del ruolo del suopredecessore,, non sono state erose dalle opposizioni interne, dall’attrito permanente con i socialisti, dai vari populisti.
C’è da sperare che una maggiore transigenza politico-diplomatica possa portare a un confronto più sereno con la Russia e ad avviare quanto prima la cessazione unilaterale europea delle sanzioni contro Mosca, ponendo la prima vistosa smarcatura UE rispetto alla condizionante, soffocante politica di minacce d’oltre oceano. Ciò renderebbe chiaro in maniera definitiva la non coincidenza degli interessi europei con quelli US in questi davvero cruciali, relativi ai confini e alle relazioni intraeuropee e farebbe scricchiolare la pervicace ostinazione dell’imperialismo strategico US.
Fatti davvero salienti, idonei a costituire avvenimenti di svolta epocale.
Ciò renderebbe altresì definitivamente aleatorio volere intendere la PESC, la politica estera e di difesa europea come una mera sovrapposizione di quella perseguita dalla NATO fintantoché gli europei non vorranno assumere un ruolo di maggiore risalto e co-responsabilità decisionale con Washington.
Certo è che la compagine governativa e parlamentare italiana è quella che difetta alla grande. In realtà, la cronica, cancerosa discrasia investe tutto il sistema politico italiano, proprio nella sua interezza. La mancanza oramai più che generazionale di una classe politica all’altezza dei compiti istituzionali e la mancanza di leader di qualità, unite alla distruttiva rissosità del contesto politico e alla improduttiva fragilità del sistema, davvero assai poco democratico e in misura strabiliante e corriva davvero interamente partitocratico, continueranno a rendere il ruolo dell’Italia sottodimensionato all’interno dell’UE e nel contesto internazionale.
Tutto ciò piò essere emblematicamente sussunto, per chi in grado di capire e per chi vuole capire, nella costante definizione che i governi italiani hanno dato del ruolo di Roma nel contesto internazionale, lasciando sempre la diplomazia come una sperduta orfanella: “potenza media regionale”. In assoluto contrasto con la realtà delle cose.
Di ciò, di questo vuoto di presenza e di esercizio di “potere” nell’agone delle relazioni internazionali, hanno sempre approfittato, cinicamente o meno, un po’ tutti. Ma è possibile muovere precise accuse ad altri per colpe la cui origine e natura è innanzitutto italiana? La debolezza politica dispiegata autonomamente in campo comunitario e internazionale è stata ed è fonte tuttora di tutto questo.
Gli avvenimenti più cruciali di questo ultimo decennio relativi al Mediterraneo e alle sue regioni, fin oltre l’area sahariana a sud e a quella mesopotamica a est e a quella russa da est in su e a quelle del Mediterraneo allargato fino alla parte centro-occidentale dell’Oceano Indiano, hanno reiteratamente confermato la grave inadeguatezza dei governi italiani.
L’ultima terribile pezza dei governi italiani è quella rappresentata dalla più misera speculazione sugli immigrati.
Un oceano di clandestini è stato accolto contrabbandandolo come esule, profugo. Le cifre colossali stanziate per questo fenomeno che ha le sue “motivazioni” e basi ideologiche, operative, logistiche in Italia, all’interno delle forze politiche, sindacali e religiose di cui è facile ricostruire la storia, a far data dal passaggio del secolo.
Cifre colossali stanziate in anni di gravissima crisi economica, lavorativa, sociale per essere destinate a speculazioni che lasciano allibiti, mentre le moltitudini di clandestini vagano fra le metropoli e le città abbassando drasticamente le soglie dell’igiene, del decoro e della sicurezza pubblica oltre ogni dire o usufruiscono di assistenza che spesso neppure i cittadini italiani poveri o i veri profughi si sognano di potere ricevere. Contrasti quotidiani paradossali.
Ciò ha determinato ulteriori pesanti scollamenti e divaricazioni economiche e sociali a danno del ceto medio e dei poveri e incapienti, del rientro del debito pubblico, degli investimenti nella ricerca e nello sviluppo. In sede UE, ha determinato altresì il forte irrigidimento di diversi Paesi che hanno rifiutato di accogliere quote di migranti.
Infine, in tema di riforme costituzionali e istituzionali finalizzate all’efficienza del sistema politico e alla sua trasparenza, economicità e funzionalità, è stato terribile il no alla mini riforma della costituzione italiana, avendo essa come punto di forza l’abbattimento del “federalismo” regionale. Impietosa, cronica, folle parassitaria spesa che gli italiani continuano ad accollarsi in favore di un ceto politico e di clientele inqualificabili e di una struttura burocratica prodotta dai consigli regionali elefantiaca e parassitaria.
Pericolosissimo è il referendum promosso dal governo regionale lombardo, giacché dietro la facciata del virtuosismo burocratico del burosauro economico italiano si celano finalità radicalmente diverse, ben note. Esso potrà ingenerare soltanto rincorse egoistiche e dispersioni centrifughe illogiche, antinazionali, antieuropee.
Non sottaciamo l’avvitamento che sta subendo la Spagna a causa di una fronte/fronda interna che nella regione di cui è espressione Barcellona vuole fare esplodere l’ “implosione iberica”. Un tentativo localista di secessione tutto permeato dalla droga del benessere economico apportato da un massiccio turismo europeo e internazionale di cui la Cataloga deve essere grata alla politica comunitaria e in parte motivato da un senso di rivalsa storica localista. Purtroppo, i debitori anziché esprimere riconoscenza e maturare culturalmente e politicamente, sono talora pronti a armarsi della spregiudicata arma dell’arroganza.
Auguriamoci che questa deriva interna possa essere presto e definitivamente sconfessata.
Nel contesto UE, ci auguriamo che Madrid altresì possa tornare a fianco di Roma e di Atene nel perseguire una politica euromediterranea solidale e forte, così da fare valere le giuste ragioni, con il fondamentale apporto di Angela Merkel e con la trasparenza credibile e verificabile del governo francese nei consessi europei e da dare slancio al progetto inclusivo di EUFRASIA relativamente ai Paesi della sponda meridionale mediterranea, dall’Egitto al Marocco.
Inoltre, è importante puntualizzare che la Spagna, in tema di armamenti, imbocchi una via esclusivamente europea e che riduca in modo tangibile gli accordi industriali in questo delicato ambito con gli USA. Ciò vale pare pari pure per Olanda, Danimarca, Norvegia (oggi non nell’UE, comunque nella NATO e nell’EFTA).
Relativamente alla cruciale area pontico-caucasica e al collasso interno delle strutture dello stato laico in Turchia, è bene non interrompere ma temporaneamente bloccare le trattative per l’accesso all’UE.
Ciò parte da una premessa fondamentale: Erdogan non è immortale. Non si tratta di auspicarne la morte ma di constatare che il dato biopsichico di ogni essere umano impone questa asserzione. La degenerazione politica di Erdogan ha tratto indubbi benefici da un contesto economico internazionale e da uno sviluppo socioeconomico interno particolarmente positivi. Essi però non sono stati e non sono duraturi e cominciano a illanguidirsi.
I tristi avvenimenti in cui abbiamo visto Erdogan cacciare la Turchia entro un’irrazionale e esaltata politica di potenza e di fervida attività di destabilizzazione interna e regionale con il ricorso su larga scala alle attività occulte, ha portato a controproducenti reazioni sino al punto che la credibilità internazionale del suo ruolo e del suo governo è stata definitivamente compromessa. La riforma costituzionale da lui imposta ne è stato il sigillo.
Il risultato di questa sciagurata ricerca del profitto a ogni costo ha provocato una grave frattura con gli USA e con l’UE al punto tale che, dopo avere più volte sfidato con arroganza la Russia, ha dovuto correre ai ripari e porsi addirittura sotto l’ala tutelare di Mosca. Cioè: la sua sbandierata politica di potenza si è azzerata e tradotta repentinamente in una condizione di mera sopravvivenza politica nei fori internazionali. Erdogan è oramai un capo indiscusso che all’estero conta quanto uno spettro.
La destabilizzazione interna e esterna operata dalla Turchia, anche tramite l’utilizzazione dell’Isis, ha superato la soglia del parossismo. Non potrà accrescere, acuire le dimensioni dei danni arrecati nella regione: può e potrà cronicizzarli. Sino a che eventi interni e/o dinamiche internazionali impreviste non produrranno effetti non più controllabili dal governo islamista di Ankara. Per intanto, il problema curdo continuerà a investire il contesto geopolitico della regione, assieme a quello siriano e iracheno a cui peraltro è connesso (oltre che con la Persia). Quello armeno rimane non di meno fermo lì.
Idem relativamente all’interno della Turchia, laddove un’elevata percentuale degli abitanti della metropoli, della capitale politica e di tutte le aree urbane del Paese è espressione di una sedimentata cultura europea che gli integralisti non hanno potuto minimamente intaccare e domare ma solo discriminare.
Bisogna aspettare e essere guardinghi, chiudendo ogni pertugio che gli uomini di Erdogan vorranno aprire. D’altronde, se lui si chiude all’Europa ancora di più, sarà ancora prima un leader definitivamente morto, giacché la porta del lontano Oriente, la Cina, per lui non è tanto un miraggio quanto un potenziale alleato-assassino. I clamorosi avvenimenti occorsi nel contesto dell’acquisizione dei missili cinesi ne sono una conferma. Ankara, ad ogni buon conto e davanti al fanatismo integralista, è stata realista. Ha scelto l’Europa. Ogni manifestazione oceanica dei suoi integralisti pertanto per Erdogan non sarà altro che un requiem celebrato in anticipo. Il conto alla rovescia è cominciato, anche se non sappiamo quanto durerà. A buon pro per EUFRASIA.