03 Settembre 2014
Il Dr. Carlo Sgandurra ha ricoperto per due volte consecutive la carica di Presidente del PECC, in lodevole adempimento del mandato elettivo conferitogli dal Comitato Direttivo. Il suo prezioso ed altruistico apporto ha contribuito a consolidare ed ampliare l’importanza dello storico ‘Capo Circeo’ in anni in cui il clima politico e culturale europeo e i fallimenti diplomatici e geopolitici sono tornati ad offuscare la vita dei popoli a causa di crisi e di guerre repentine in tutto l’orizzonte e pure entro i confini dell’ecumene eufrasico, ponendo le comunità euroafroasiatiche davanti ad inaspettate e nuove tragedie, oltre quelle già esistenti e giammai risolte. Egli ha qui voluto porgere il suo commiato dalla carica in modo non tradizionale: presentandoci dei diretti riferimenti sull’importanza dei principi valoriali e delle validità di metodologie e capacità ideative, organizzative e operative, pur entro i rigidi meccanismi istituzionali di riferimento, che hanno stimolato e nutrito le sue attività nella prima parte della sua lunga carriera pubblica. Così come nel proseguimento dell’ulteriore lavoro di cittadino al servizio delle amministrazioni pubbliche. Il Consiglio Direttivo, nel rinnovargli la sua sincera gratitudine, ha deciso – motu proprio – di inserire il suo nominativo nella composizione del Comitato d’Onore.
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È una costante storica rinvenire nelle cause precedenti, più o meno remote, fino al casus belli (il pretesto, spesso strumentalmente provocato), l’insorgere dei conflitti.
Risponde d’altronde ad un principio logico filosofico, oltre che scientifico, la necessità di conoscere appieno il fenomeno che si è chiamati a fronteggiare, spingendosi a comprenderne le cause. L’ignoranza delle stesse ed il mancato avvio delle azioni volte alla loro rimozione, rischia d’inseguire l’effetto che, anche nel caso di raggiungimento di un positivo risultato di controllo/contenimento, avrebbe un risultato solo temporaneo.
La pessima abitudine, oggi favorita dal fortunato progresso dei mezzi di comunicazione, a soffermarsi sulla rappresentazione dell’ultima notizia del giorno o di giorno in giorno, non ci aiuta a riflettere sullo sviluppo dinamico dei fatti, ad approfondirne l’origine e la causa; questo dovrebbe essere compito della Politica, sorretta da adeguata conoscenza della realtà e del contesto, con una visione ampia e sostenuta da profondo senso di equità ed autentico spirito di pace.
La responsabilità, tutta politica, per non essere riusciti finora a perseguire con successo l’obbiettivo della Pace, risiede nella incapacità, dimostrata, di voler onestamente indagare sulle cause, anche remote, dei conflitti.
Le leggi che governano la natura sono perenni; non i criteri che disciplinano i rapporti tra gli uomini, che possono e devono, invece, variare a seconda dei suoi comportamenti. Se in passato la soluzione ai contrasti d’interessi, agli squilibri economici, sociali o religiosi, veniva affidata alle armi, oggi, dopo le due esperienze belliche mondiali e all’interminabile serie di conflitti più o meno isolati, in tutti i continenti, la reiterazione del medesimo rimedio appare assurdo, se non criminale (per le terribili conseguenze dirette ed indotte).
Sembra riaffermarsi nei fatti la convinzione, accettata e praticata per secoli, che la Pace si persegua con la guerra (si vis pacem, para bellum) o che è l’aratro a tracciare il solco ma è la spada a difenderlo: un assurdo, che tradisce, nella meno malevole delle ipotesi, l’insegnamento eloquente degli ultimi due secoli di storia, tra guerre e rivoluzioni.
Le rivoluzioni, come in parte le ribellioni, hanno evidenziato i reali ed evidenti, intollerabili squilibri; mentre le soluzioni, suggerite e tentate dalle prime, hanno conseguentemente prodotto altre guerre, di restaurazione. La pace, successiva ai conflitti, è apparsa duratura solo quando la situazione postbellica ha visto rimosse le cause che l’avevano incrinata: eloquenti gli insegnamenti – e senza andare fino all’impero romano e alla sua Pax – nell’era moderna, la nascita degli USA e quella dell’Unità Europea, avviata con l’UE. Oggi non è, infatti, pensabile ipotizzare una guerra tra gli Stati membri degli USA, come tra i Paesi membri della Comunità europea, già allargata ad est o tra Land tedeschi o tra Regioni italiane. La composizione delle differenze e degli interessi di parte, attraverso l’eliminazione dei localismi e dei nazionalismi, che ha permesso di contenere finora la guerra nel vecchio continente e garantire la pace, è stato il risultato di un progetto unitario, quello europeo, voluto e perseguito da politici illuminati. Ora, la strada appare già tracciata ed auspicabile: una Europa Unita, tutta, senza frontiere, allargata ad est!
La cultura è conoscenza tra gli individui e tra i popoli, ma anche comprensione degli altrui valori ed abitudini, che si realizza attraverso rapporti e relazioni. Il PECC persegue l’amicizia tra i popoli con il reciproco riconoscimento culturale, l’abbattimento della diffidenza e l’enfatizzazione della libera conoscenza.
Funzionali a tale progetto sono certamente gli strumenti della comunicazione: dalle infrastrutture per la mobilità a quelle per l’interconnessione. Non v’è chi non veda quanto abbia potuto incidere l’evoluzione in questo campo sulla loro utilizzazione generalizzata e di massa. Conoscenza ed integrazione, oggi, possono rappresentare una garanzia di pacifica convivenza, piú del “si vis pacem para bellum”; basta osservare comportamenti e costumi dell’ultima generazione: Erasmus, lingue, viaggi…
Il rapporto tra individuo e Collettività, ovvero tra cittadino e Stato, che si dovrebbe tradurre in aspettative di Solidarietà, o soddisfazione di diritti, attraverso l’erogazione di Servizi, è certamente e formalmente disciplinato dall’ordinamento giuridico-amministrativo.
Purtuttavia, non sempre le norme sembrano rispecchiare le esigenze sociali contingenti, così come la risposta dei servizi non appare adeguata alle aspettative. Un fenomeno che, se isolato, sarebbe naturalmente fisiologico, ma è di fatto diffuso in molti e vari settori e persiste da tempo.
L’aspetto poco, se non per nulla, considerato, è l’identificazione necessaria, auspicata e non scontata, tra Collettività e Stato e tra individuo e cittadino, che avvicinerebbe all’utopistica coincidenza del diritto naturale con quello positivo.
Un rimedio può essere rappresentato da un approccio più etico, vuoi nella formazione della Legge, come nella sua applicazione: per cui lo Stato apparato si fa carico ed interprete delle istanze della Collettivitá e si pone nella condizione di corrispondere ai diritti dei cittadini, ma quali individui. Ed è proprio in questa visione etica – vissuta spesso inconsapevolmente, da tanti e anonimi Amministratori ed operatori sociali e del diritto, nell’assolvimento dei propri compiti, in fase di applicazione, formazione, di modifica o di nuova proposta della legge – che si saldano le discordanze, si attenuano i conflitti e si contribuisce a perseguire l’alto, pubblico interesse.
La mia esperienza, come di tanti altri, sia in veste pubblica che privata, è sempre stata informata e sorretta da questo principio etico e di spirito di servizio, per il cittadino, per la Collettività.
Ogni assunzione d’incarico era accompagnata dalla verifica iniziale circa l’efficacia della struttura atta o meno al raggiungimento degli obiettivi legati alla sua funzione, ed al successivo impegno ad efficientare organizzazione, pure con le adeguate e necessarie procedure ed alla formazione del personale, opportunamente motivato. La sfida era quella di migliorare l’esistente, facendo tesoro della passata esperienza dello specifico ufficio, come di quella personale, che nel corso degli incarichi e dei ruoli si è via via arricchita. Aspetto sempre positivo, anche quando i risultati conseguiti, grazie al lavoro originale svolto, rischiavano di non consolidarsi in prassi – per una non commendevole accettazione/riconoscimento o diversa visione – per cui consentivo ad altri soggetti o uffici di prenderne il merito, pur di proseguirne l’esperienza: nella convinzione che l’importante fosse l’idea, non le gambe sulle quali essa camminava.
Spirito di servizio e tensione volta al miglior risultato, ma anche padronanza degli strumenti di conoscenza giuridica e professionale, perseguibile esclusivamente attraverso un mirato percorso di studi, adeguata formazione e costante aggiornamento anche su settori specifici.
Questo piccolo scrigno di valori e riferimenti è l’impostazione d’insieme che più ha giovato alla mia crescita professionale, favorendo risultati e gratificazioni; così come sono persuaso che la gran parte di coloro che hanno seguito un percorso simile sarebbe stata in grado di dare risposte altrettanto adeguate. Ritengo anche essere questa metodica un’eccellenza italiana: il meglio, nella misconosciuta normalità.
(Traccia minima di obbligato riferimento alle mie esperienze d’avvio carriera coerenti e conformi ai già menzionati principi e modus operandi; successivamente, avrei lavorato in ambiti diversi e sempre delicati sia dell’amministrazione di riferimento e sia di primaria azienda pubblica.
Questura di Roma:
– riorganizzazione ed informatizzazione dei servizi della Sala Operativa 113 (soccorso pubblico), pianificazione interventi antirapina, rilancio nucleo antiscippo, istituzione del Gruppo “volanti”, con la pianificazione del controllo del territorio ed il coordinamento dell’attività di Prevenzione; – il sistema dava modo di registrare tutte le conversazioni tra le vetture di polizia in servizio e le telefonate pervenute al 113, esaminate e messe a disposizione dell’A.G., relativamente agli episodi sia del sequestro che del ritrovamento dell’on. Aldo Moro; numerose le visite di delegazioni straniere interessate, Israeliana in particolare. Eccellenza italiana.)