28 Settembre 2015
Europa, Europa.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di Europa
I benefici arrecati dal processo comunitario dell’Europa prima a sei, poi a nove, poi a dodici e quindici Stati membri, infine a 27, sono stati sinora inquantificabili, immensi E’ altresì innegabile il fatto che i benefici sarebbero stati ancora maggiori se più ampio e radicale fosse stato il processo di deferimento delle sovranità nazionali al nuovo organismo dell’Unione.
Le incertezze, i contrasti, le revisioni, le marce indietro non hanno valso a rafforzare e rendere più spedito il processo teso a rendere sempre più unitario e semplice al tempo stesso, ma anche più efficiente e garantista il nuovo soggetto politico. Le sue defaillance in tema di politica estera e di difesa e di efficienza qualitativa dei sistemi d’insegnamento a intendere innanzitutto come sistemi di formazione culturale dei giovani cittadini e non già innanzitutto come sistemi atti a produrre operai e meri esecutori lo dimostrano abbondantemente. Ad esempio, il sistema formativo italiano, fondamentalmente il migliore non ultimo per il ciclo quinquennale superiore, anche se il più datato e il più compromesso con innovazioni spesso distoniche e demagogiche e pseudo egalitarie, non è stato mai difeso nei fatti dagli stessi governanti italiani ma solo vilipeso e sfruttato demagogicamente dai partiti e dai grandi sindacati per finanziare il parassitismo con il declassamento professionale e economico di una categoria centrale a pro dell’efficienza della società e dello Stato. Esso, secondo modalità affatto non convincenti, è messo quasi all’indice dai sistemi di valutazione dell’OCSE, che pongono invece al vertice sistemi educativi quali quello finlandese in cui (non le modalità) ma la qualità e la quantità dei contenuti offerti dai programmi di studio è davvero … effimera. Il dato assurdo che emerge da questo confronto internazionale è che i docenti italiani delle secondarie sono letteralmente sottopagati, al fine di continuare a retribuire la sterminata giungla burocratica e partitocratica d’Europa, che costa quanto spendono Francia, Germania e Spagna insieme.
Le sfide incessanti, pericolose e aggrovigliate che il panorama internazionale presenta continuano a porre sul tappeto l’incapacità, l’inidoneità dell’Europa nel potere dare forma a una visione comune e a una risposta comune. I recenti, perduranti e sempre più acutizzati problemi legati all’emigrazione e soprattutto l’esplosione del fenomeno dei profughi siriani – tragedia epocale – dimostra che le lotte in seno agli organismi decisionali europei sono il frutto di visioni miopi, carenti di analisi politiche e di prospettive già a brevissimo termine e soprattutto frutto di piccoli, arroganti, meschini, controproducenti egoismi.
Ciò dimostra che vi sono intere classi politiche all’interno dell’Unione Europea – segnatamente in: Polonia, Ungheria, repubblica slovacca, repubbliche baltiche, Finlandia – che sono assolutamente a digiuno o quasi di cosa significhi cercare di governare la navigazione in acque poco tranquillo o tempestose. Ma anche di tentare un approccio auto valutativo e autocritico, al fine di verificare motivazioni, giustificazioni, validità della propria linea di condotta interna e internazionale. Essi non possono far finta di non sapere che la loro refrattaria arroganza si basa su di un’estrema e esclusiva massimizzazione dei benefici materiali conseguiti, grazie alle enormi risorse a essi destinate dalle scelte e dalle procedure operate dall’Unione Europea in tema di aiuti e finanziamenti interni, con il trasferimento complessivo di risorse monetarie per loro altrimenti inimmaginabili.
In questo senso, i Paesi che offrono un grande dato di incertezza in merito alla loro affidabilità e solidità politica su temi così cruciali sono in primis quelli dell’Europa orientale, fatti entrare troppo speditamente nel sistema comunitario all’inizio del nuovo secolo per sottrarli al troppo veloce processo di americanizzazione: di “satellizzazione”.
Su questo piano, l’Europa ha fallito anche perché questi Paesi sono quelli che nei fatti ci mettono ancor più in crisi in quanto fanno pendere l’ago della bilancia su temi estremamente delicati in favore della politica d’ingerenza e d’interventismo delle amministrazioni americane in aree cruciali per gli equilibri odierni e duraturi degli europei e del futuro sviluppo e allargamento della stessa Unione ( fascia orientale esterna all’UE e contenzioso russo-ucraino, Mediterraneo e Vicino Oriente Asia centrale).
Inoltre, mentre l’Europa, e con essa finalmente in prima linea l’Italia, si avvia al definitivo superamento degli effetti della seconda crisi importata d’oltre Oceano e in misura minore d’oltre Manica ( e moltiplicati a dismisura non solo per il “libero mercato” in mano alla finanza e non alla produzione e non ai governi ma anche per l’addizione di preesistenti cause esclusivamente endogene in Paesi come Italia, Grecia, Portogallo), tornano a manifestarsi ulteriori esasperanti, pericolosi egoismi interni.
Mentre il Regno Unito ha superato la prova del referendum scozzese (anche se il governo pare che sia in ritardo con le linee programmatiche di adempimento della completa autonomia della regione), è tornata in queste ore ad aleggiare la minaccia dei risultati del referendum della Catalogna in Spagna. Non possiamo esimerci dal considerare questo ulteriore attacco all’unitarietà della Spagna non come un principio di autodeterminazione dei popoli ma come un aberrante risultato conseguito in forza degli enormi benefici che questa regione ha conseguito all’interno del mercato dell’Unione. Ciò quindi pare frutto di una spregiudicata azione politica nata e cresciuta all’ombra dell’espansione economica e del consumismo. Un’azione di arrogante e assolutamente miope egoismo che può arrecare imprevedibili danni alla costruzione europea, con il voler fare elevare entità regionali al ruolo di Stato – fantoccio.
La crescita dell’ Europea passa attraverso le vie di libero e concertato deferimento di altre porzioni di sovranità nazionale agli organi dell’Unione e non attraverso lo smembramento arbitrario delle singole nazionalità e entità statuali messo in opera pure da sommovimenti referendari che non sanno cosa stanno generando di deleterio. Questa seconda via è assolutamente perdente e foriere solo di problemi e di involuzioni pericolose e imprevedibili.
In questi giorni, le grandissime preoccupazioni emerse all’interno dell’Europa hanno portato a una più ponderata valutazione dei contesti internazionali e del ruolo che essi giuocano oramai non più all’esterno delle frontiere, ma direttamente all’interno dell’Unione, pure come effetto di ritorno di gravissime interferenze e di menzogneri, arbitrari e violenti interventi armati indiretti e diretti posti in atto dalle amministrazioni USA e dagli europei che si rimettono passivamente a tutto ciò. Gli errori, macroscopici, sono sotto gli occhi di tutto il mondo. Non si tratta di contestare il ruolo preponderante che gli USA sono chiamati a svolgere quali attore primario a livello planetario, ma si tratta di non accettare, controbattere e proporre alternative valide, concrete, proprio sul terreno politico. Geopolitico e geoeconomico. I fallimenti euro-americani stanno producendo quello che stanno producendo. Procelle su procelle. Per cui, milioni di profughi dovrebbero essere accolti in primis entro le frontiere degli USA.
Bisogna che l’Europa cominci a saper dire di no al revanscismo distruttivo e inconcludente, neo-neo colonialista dei governi di Londra e di Parigi in merito al Mediterraneo orientale e al Vicino Oriente, governi che continuano a raccogliere solo i bocconi della serva nel ruolo di assoluta subalternità agli americani. Bisogna che si sappia rilanciare una strategia NATO ancorata agli antecedenti limiti geopolitici, ancora validissima. Bisogna sapere evitare l’impropria e meccanica sovrapposizione fra Europa e Nato, come confermano le realtà di Norvegia, Svezia, Austria e non soltanto. Bisogna volere concorrere di più nel ruolo decisionale all’interno della NATO, e di questo certo non possiamo attribuire la colpa sempre agli americani. Bisogna saper proteggere con fermezza gli interessi economici europei nell’ambito degli squilibrati rapporti economici USA-UE. Bisogna evitare, da un lato, di abbattere a tutti i costi i regimi autoritari e dittatoriali esistenti in crinali di particolare rilevanza geopolitica, regimi che rappresentano il meno peggio e al tempo stesso realtà che hanno introdotto nella società ampi elementi di educazione e formazione occidentalizzati; e dall’altro lato evitare di rafforzare l’esistenza di monarchie autocratiche e il ruolo di destabilizzazione in aree da esse perseguito da almeno un quindicennio nelle congiunzioni degli scacchieri geopolitici più esplosivi del pianeta.
Per intanto, è nostro dovere prendere atto della grande svolta di sensibilità politica, e di comprensione dei fenomeni politici gravissimi che vi sono sottesi, che è stata espressa dal presidente della Commissione europea, Juncker, e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Qualora le dichiarazioni della Merkel in merito alla possibilità ricettive della Germania dovessero essere riviste al ribasso, il significato della presa di coscienza e d’atto, politica e geopolitica, di Berlino rimane intatto: il dato più rilevante e importante, e al momento più tranquillizzante.
Quantomeno, gli europei hanno finito di dormire in assoluta incoscienza sonni profondi, mentre tutto o quasi tutto quanto accanto a loro stava andando e sta andando in frantumi.
In tutto questo, non ci vogliono affatto fibrillazioni, ricatti, vanaglorie consumistiche interne e trastulli e ubriacature collettive di regionalismi insani. Men che mai.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di Europa.