14 Settembre 2020
Unione Europea. Le grandi colpe. L’odierno collasso geopolitico europeo e la completa deriva della Turchia
Gli ultimi cinque anni sono stati sempre più distruttivi per la politica dell’UE. L’accentuazione della caduta politica è stata causata dall’aggrovigliarsi e arroventarsi delle problematiche interne sia dell’Unione sia di molti Paesi dovute alle frizioni egoistiche fra molti governi dei Paesi aderenti e all’assurda, penosa assenza di una politica estera comune ci ha portati a un angolo morto in cui i cronici e aggravati problemi sono venuti alla luce in modo dirompente. Tale caduta politica è stata ed è ulteriormente accentuata dalle caotiche (quanto pure guidate da dietro le quinte da qualche cancelleria o pure platealmente favorite e istigate) interazioni di tali grovigli di matasse.
Non vi è dubbio che il primo a sedere sul banco degli imputati sia il Consiglio dei Capi di Stato e di governo delle Nazioni. In esso, le direttrici della condotta d’ispirazione nazionale dei Paesi egemoni e delle loro alleanze interne più corrive sono chiaramente la causa prima di questo sfacelo. Parliamo dei governi di Francia, Germania, Paesi Bassi innanzitutto. E dei governi italiani i quali, per motivazioni anche antitetiche dovute al perdurare della loro debolezza oggettiva e al voler quasi sempre compiacere i partner appena menzionati per adulazione finalizzata a coprire i misfatti politici, sociali e economici interni e ottenere così ininterrotte ‘copertura’ e ‘garanzia’ di ‘comprensione’, si sono prestati a subordinare gli interessi sia nazionali sia dell’UE agli interessi di egoismi e di improprie egemonie altrui messi in atto senza tema e senza tregua.
In questa condizione generale assai diffusa di circolarità delle responsabilità, ad esempio sia in riferimento al Regno Unito e alle balordaggini piratesche delle ultime trovate del suo primo ministro per la conclusione della Brexit, sia dei governi e delle forze politiche che con punte di beffardo protagonismo si auto appellano sovraniste, sia della ‘blindatura’ che ancora viene data alla partitocrazia italiana e ai suoi megagalattici bilanci parassitari di spesa e di ‘dirigenza’ e di armamentari burocratici, con particolare enfasi quelli del ‘federalismo’ regionale, sia allo squilibrante duopolio franco-germanico, è condizione indispensabile e improrogabile denunciare alla luce del sole siffatti guasti.
Inoltre, la logica pseudo-giacobina perseguita da un ventennio contro la Turchia ha portato al definitivo naufragio della politica di allargamento a Est, e non soltanto.
Le famose clausole redatte dalle ‘menti pensanti’ dell’Unione Europea menzionano che la Turchia doveva adeguare la sua Costituzione ai ‘principi’ democratici invalsi nella prassi più che nello spirito delle norme dei Paesi europei. Ciò ha significato volere imporre di smantellare la peculiarità fondamentale e essenziale della Costituzione turca, del tutto liberale e democratica, la quale aveva però la specificità del principio dell’intervento terzo del potere militare – intervento temporale limitato – in presenza della prolungata paralisi parlamentare e governativa dovute alla degenerazione delle lotte partitiche che portavano queste supreme assisi al di fuori dal corretto e costituzionale alveo dell’esercizio dei poteri di amministrazione e di rappresentanza parlamentare del popolo turco. Modello e regola che avevano più volte dimostrato la loro adeguatezza e efficienza interna atte a riportare al normale funzionamento parlamento e governo, traendoli dalle secche delle cieche e distruttive lotte partitiche. Modello e regola che mai aveva declinato l’intervento terzo del potere di garanzia delle forze armate verso una degenerazione autoritaria castrense. Riteniamo che lettori equilibrati e responsabili accolgano in particolare queste affermazioni, innanzitutto rilevando che esse sono basate su un distaccato riscontro storico.
La demolizione operata per anni dall’UE della Costituzione sicuramente e rigorosamente laica della Turchia alla fin fine ha istigato, preparato e facilitato il concretizzarsi di pericolose avventure che hanno prodotto il crollo degli argini di difesa costituzionale e il definitivo collasso politico e sociale di questo grande Paese, già alle prese con il riflusso della conclusa lunga stagione di espansione economica. Questa demolizione basata sulla ridicola e demagogica ‘punta di principio’ ha preparato, lo sottolineiamo ancora, la strada della strategia e della tattica del partito clericale dell’attuale presidente.
Nei fatti e non solo, e anzi in punta di diritto, lo Stato democratico e i principi fondamentali liberali e laici della Turchia non esistono più. Esiste una nuova costituzione, apertamente se non fanaticamente confessionale, che tiene ancora rinchiusi in carcere molte decine di migliaia di professori, militari, giornalisti e intellettuali. Esistono la ottusa, cieca e forsennata proclamazione di una ‘supremazia etnico-confessionale’ e il contemporaneo schiacciamento, con inusitata violenza repressiva, delle importanti e non sottacibili voci delle molteplici minoranze etniche, dapprima solo in parte discriminate. In particolare, l’estremo acutizzarsi della lotta armata alla rilevantissima ‘minoranza’ curda, la più importante sul piano storico e demografico e di radicamento e presenze geografiche, a cui segue quella armena.
La straripante deriva del bey di Istambul ha fatto crescere a dismisura i suoi megalomani progetti neo e pan ottomani quale rozza e rabbiosa risposta all’impossibilità di controllare e dominare totalmente il panorama politico interno e di respingere i limiti sul piano internazionale imposti al suo tentativo di straripare non solo militarmente sulle pianure siriane e irachene, quanto di non riconoscere ampia autonomia ai curdi. E’ prevedibile che, dopo l’uscita di scena di Recepit, giorno che prima o poi dovrà arrivare, non potranno che affiorare prepotentemente le tentazioni di sbriciolare la Turchia e, più realisticamente e positivamente, di dividerla dall’ Armenia e dalle estese terre curde e di federalizzarla.
Questa straripamento pan nazionalistico ha raggiunto la sua acme con il tentativo ancora in atto di stravolgere, con il ricorso allo strumento militare, i contenuti del Trattato ONU di Montego Bay e di rivendicare, attraverso l’illegale e apertamente strumentale esistenza di Cipro Est, ampie porzioni del Mare di Levante appartenenti a Cipro (che poi … sempre Grecia è), Grecia e in misura minore a Egitto, Siria, Palestina (e per essa, oggi Israele).
Si dirà che Atene persegua una linea di difesa estrema e anche eccessiva delle sue prerogative marittime sin sotto la costa turca, ma le piattaforme continentali parlano in modo chiarissimo, e delle piccole rettifiche apportabili a pro di Ankara non collidono con i diritti ellenici mentre collidono totalmente con le smisurate pretese turche. Rivendicazioni aggressive e infondate che vogliono riecheggiare in piccolo i tentativi delle macroscopiche “annessioni” di Pechino di interi mari a cavallo fra le costa indocinesi, coreana, giapponese e il Pacifico.
Da considerare poi che, oltre ad alzare il grado del ricatto internazionale a 360° anche attraverso l’intervento armato in Libia in favore di uno dei contendenti, Recep Tayyip Erdogan sprona l’Algeria laica e social nazionalista (che presente non minori gravi problemi, e purtroppo fra l’altro aggredita da molteplici inefficienze e corruzioni interne, eccesso della crescita demografica e basso tasso di sviluppo economico ) sulle pretese di unilaterale e illegittima rivendicazione di porzioni di mare della ZEE chiaramente appartenenti a Italia (dato comico: fin sotto le coste della Sardegna) e Spagna.
L’azione di scoperto masochismo politico lungamente protrattasi da parte dell’Unione Europea forse troverà un insperato appoggio nel galoppare della crisi finanziaria e economica turca e in quella dei molteplici equilibrismi di Erdoğan? C’è da sperarlo. Nel frangente, questi, più che una strategia di riflusso e di disinneschi a catena delle molteplici crisi in cui si è tuffato, ha provocato e sta provocando, con il suo straripante nazionalismo religioso così maldestramente utilizzato, una serie di risposte internazionali sempre più ampie e articolate atte a contenere le sue follie.
Basti pensare che il partner che strategicamente supporta, con precise finalità, parte delle odierne attività di esportazione della ‘potenza neo-ottomana’ di Ankara, Putin, è al contempo l’interlocutore principe, assieme o senza USA e UE, in grado di interdire quasi in toto le finalità politico-confessionali, di suprematismo etnico e di rivendicazione marittima per finalità energetico-economiche e di proiezione di potenza perseguite da Erdoğan. Finalità che corrono sul filo del rasoio in contrasto con esigenze anche vitali per la sicurezza di Mosca. E’ come dire che la Russia sa e perciò lascia libertà d’azione al presidente turco, sapendo che questi annasperà di più di giorno in giorno in tutto il Vicino e Medio Oriente e Asia centrale, Mediterraneo e Europa sud-orientale, Africa.
Torniamo all’Unione Europea. Essa non può attendere che siano gli altri ad … aggiustarle le cose o che esse si aggiustino da sole. E’ condizione non sufficiente ma indispensabile che l’Europa, dopo questi caotici anni di violenta decostruzione politica, possa procedere nel verso opposto e possa iniziare quanto prima a saper neutralizzare i ricatti del bey di Ankara (non certo un sultano e neppure un gran visir, dopo che ha gettato la maschera) e possa, per prima cosa, porre riparo ai grandi danni che ha arrecato alla Nazione turca e a tutti i popoli europei. Responsabilità enorme davvero, soprattutto alla luce delle ancora più enormi difficoltà in cui si vive a causa del perdurare della pandemia dovuta al Covid-19 e agli estesi disastri economici e sociali che essa ha provocato e sta ancora provocando.